Non usa giri di parole l’Associazione nazionale magistrati sul caso del generale libico: “Obblighi internazionali andavano rispettati”.
Roma – Il braccio di ferro governo-toghe all’indomani dell’inaugurazione dell’anno giudiziario è più che mai vivo. Dopo le proteste nelle varie cerimonie nelle corti d’appello contro la riforma per la separazione delle carriere, l’Anm va all’attacco sul caso Almasri: il generale libico, si legge in una nota della giunta esecutiva centrale, “è stato liberato” per “scelta politica” e “per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Così l’Anm replica alle parole pronunciate sabato dalla premier Giorgia Meloni, secondo cui “il generale libico Almasri è stato liberato, non per scelta del Governo, ma su disposizione della magistratura”.
L’Anm sottolinea che Almasri è “stato liberato, e, seppur indagato per atroci crimini, riaccompagnato con volo di Stato in Libia. Tanto va detto per amor di verità”. Sulla vicenda del generale libico la tensione è destinata a restare altissima anche perché mercoledì se ne tornerà a parlare in Parlamento, con l’informativa in aula del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e l’audizione davanti al Copasir del Guardasigilli Carlo Nordio. La decisione dell’Italia ha scatenato le proteste della Corte penale internazionale (Cpi) che lamenta di non essere stata consultata prima della scarcerazione. I giudici dell’Aja contestano al generale una serie di episodi avvenuti a Mitiga, penitenziario di cui è direttore. In quella struttura, secondo quanto si legge nel dispositivo della pre-trial Chamber della Cpi, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 32 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie.
In alcune occasioni il generale era presente mentre le guardie picchiavano i detenuti o sparavano contro di loro. Nei suoi confronti il mandato di arresto è stato spiccato il 18 gennaio con voto a maggioranza. Il provvedimento è scattato dodici giorni dopo l’inizio del viaggio di Almasri in Europa. La Corte penale internazionale è un tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aja, nei Paesi Bassi, e ha il compito di perseguire le persone accusate dei crimini più gravi a livello internazionale, il genocidio e i crimini di guerra. Per farlo si basa sulla cooperazione con i Paesi di tutto il mondo per effettuare arresti, trasferire gli arrestati al centro di detenzione della Corte penale a L’Aja, bloccare i beni degli indagati ed eseguire le sentenze.
Secondo i giudici della Corte penale internazionale, che si basano su indagini di associazioni indipendenti, testimoni oculari e inchieste giornalistiche, Almasri sarebbe direttamente coinvolto, spesso insieme ai suoi uomini, in abusi sistematici, specialmente contro detenuti accusati di crimini religiosi, ateismo, cristianesimo o omosessualità. Nel 2018, un rapporto dell’Human Rights Office delle Nazioni Unite ha classificato la prigione di Mitiga tra i “lager”, descrivendo condizioni drammatiche: “2600 uomini, donne e bambini” stipati in spazi angusti, privi di accesso ad avvocati o tribunali. In questi centri, secondo le denunce, sono endemiche torture e altre violazioni dei diritti umani”.
Dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, aveva iniziato a militare tra le forze armate libiche con un’esperienza nell’Apparato di deterrenza, una delle più importanti milizie impegnate nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata (Dacto). Diventato uno dei comandanti di punta delle forze armate che controllano Tripoli, era cresciuto all’interno di questo apparato raggiungendo una posizione di grande rilevanza, operando dal quartier generale situato presso l’aeroporto di Mitiga. Qui, il Dacto coordina numerosi centri di detenzione, alcuni dei quali, secondo le denunce delle organizzazioni internazionali, sono utilizzati per imprigionare migranti intercettati dalla guardia costiera libica, che riceve supporto tecnico e formativo dall’Italia attraverso il Memorandum of Understanding firmato nel 2017 tra Roma e Tripoli.
Un caso quello del generale libico destinato a far discutere ancora per molto. E poi c’è la guerra sulla separazione delle carriere. Nel governo le reazioni alla protesta delle toghe sono svariate. Una su tutte, il viceministro della giustizia, Francesco Paolo Sisto, che sottolinea come le manifestazioni durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario siano state “un atto di belligeranza”, mentre il senatore capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri parla di “pagina oscura per la democrazia”.
La replica del presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, non si fa attendere. A LaPresse, si dice “preoccupato e anche molto amareggiato quando si usano queste tinte fosche che gettano un’ombra sulla magistratura”. “Sabato i magistrati hanno acceso un faro su una riforma che interessa tutti – aggiunge -. È stato un servizio di democrazia e non certo una pagina oscura”. “Noi dialoghiamo sempre e stiamo agendo non in maniera sterile e infeconda – conclude -, ma pensando che ci sarà un referendum e che quindi le ragioni di contrarietà potranno essere apprezzate dai cittadini che saranno chiamati alla consultazione referendaria. Prendiamo atto che il Parlamento non può discutere, perché la maggioranza blinda il testo”.