Il procuratore Nicola Gratteri ha svelato i tariffari della criminalità: 1.000 euro per introdurre uno smartphone, 250 euro una sim.
Bologna – Altri cinque cellulari sono stati trovati dalla polizia penitenziaria nei reparti detentivi del carcere emiliano. Ne dà notizia il vice segretario regionale del Sappe, Francesco Borrelli. Un mese fa, sempre nel penitenziario bolognese il ritrovamento di altri telefonini. Attraverso un’operazione della Polizia penitenziaria erano stati scoperti oltre dieci apparecchi in possesso di detenuti ristretti nelle sezioni del circuito ad ‘alta sicurezza’. E ora ci risiamo. Lo scenario nazionale è spaventoso: nel 2023 fonti Dap hanno svelato che sono stati sequestrati in totale 3606 telefonini nei penitenziari da Nord a Sud.
Tornando al caso di Bologna con due ritrovamenti in pochi giorni, Giovanni Battista Durante e Francesco Campobasso, sindacalisti del Sappe, fanno notare come “l’ingresso dei telefoni cellulari in carcere è un problema che non ha trovato soluzione con l’introduzione nel codice penale di un apposito reato, per cui è quantomai necessario e urgente procedere alla schermatura degli istituti, per renderli inutilizzabili, atteso che spesso sono i detenuti sottoposti al regime di Alta Sicurezza ad usufruirne. Detenuti che possono comunicare con l’esterno per continuare a gestire i loro affari”, hanno concluso i sindacalisti.
E Donato Capece, segretario generale del Sappe rinnova al Dap la richiesta di “interventi concreti come, ad esempio, la dotazione ai Reparti di Polizia Penitenziaria di adeguata strumentazione tecnologica di ultima generazione per contrastare l’indebito uso di telefoni cellulari o ogni altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti nei penitenziari italiani”. A parlare del fenomeno allarmante era stato anche il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri: in 19 penitenziari, grazie all’ingresso dei cellulari “i boss hanno continuato a minacciare e a impartire ordini all’esterno. E così riescono a eludere la detenzione”.
L’emergenza è nazionale, attraversa l’intero sistema penitenziario italiano. In ogni carcere “si annidano una media di 100 telefonini, entrano tramite droni ipertecnologici insieme a droga e armi. Con quei cellulari – ricorda Gratteri, “i boss continuano a impartire ordini all’esterno, a minacciare, ad eludere la detenzione. Sconfessando l’ormai celebre dichiarazione del ministro di Giustizia Carlo Nordio: “Un mafioso vero non parla né al telefono, né al cellulare perché sa che c’è il trojan, né in aperta campagna perché ci sono i direzionali”.
A Gratteri non sfugge neppure il tariffario delle vendite dietro le sbarre. Le mafie lucrano anche su questo traffico, con tanto di prezzi: 1.000 euro “per introdurre uno smartphone, 250 euro una sim, 7.000 euro mezzo chilo di erba e una pistola “10 mila euro” dice in un’intercettazione Vincenzo Scognamiglio (fra i 30 arrestati nel maxi-blitz di ieri a Napoli), uno dei leader di una ‘squadra specializzata’, una sorta di franchising al servizio dell’Alleanza di Secondigliano, capace con i suoi droni, secondo l’accusa, di bucare i sistemi di sicurezza di almeno 19 penitenziari”.