La mamma di Pamela incontra Oseghale in carcere: “Una chance per dire la verità”

A 7 anni dal delitto, Alessandra Verni ha visto l’assassino della figlia, condannato all’ergastolo. “Gli ho dato l’occasione per pentirsi e denunciare i complici”.

Macerata – A poco più di sette anni dall’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana violentata, uccisa e fatta a pezzi nel gennaio 2018, la mamma Alessandra Verni ha compiuto un passo che aveva a lungo desiderato: incontrare Innocent Oseghale, il 35enne nigeriano condannato all’ergastolo in via definitiva per il delitto. L’incontro, durato oltre quattro ore, si è tenuto oggi nel carcere dove Oseghale sconta la pena, un momento carico di emozioni e significati, ma anche di una chiara determinazione: “Volevo dargli una chance per pentirsi e dire la verità”, ha dichiarato Verni all’Adnkronos.

Pamela scomparve il 30 gennaio 2018 dopo essersi allontanata da una comunità di recupero a Corridonia, in provincia di Macerata. I suoi resti furono ritrovati due giorni dopo, smembrati e chiusi in due trolley abbandonati in una stradina di campagna. Oseghale, arrestato poco dopo, è stato riconosciuto colpevole di omicidio, violenza sessuale e vilipendio di cadavere, una condanna confermata lo scorso gennaio dalla Cassazione, nonostante un ricorso straordinario della difesa. Ma per Alessandra Verni, la giustizia non è ancora completa: da anni sostiene che l’uomo non abbia agito da solo, un’ipotesi mai provata nelle aule di tribunale.

L’idea dell’incontro aveva preso forma nei mesi scorsi. Verni lo aveva anticipato parlando della scarcerazione di Luca Traini, l’uomo che nel febbraio 2018 aveva compiuto un raid razzista a Macerata sparando contro migranti per “vendicare” Pamela, e ora affidato ai servizi sociali. “Sto valutando di incontrarlo, come voglio incontrare Oseghale. Ma Oseghale è diverso, lui è il carnefice”, aveva detto allora. Oggi quel desiderio si è concretizzato, non come atto di perdono, ma come ricerca di verità. Incontrare non significa perdonare. Io dono a lui la possibilità di pentirsi e denunciare, e a me quella di guardarlo negli occhi e dirgli cosa ha causato”, ha spiegato.

L’emozione dell’incontro è stata intensa. Quando vedi il carnefice ti viene voglia di sbranarlo, ma non risolveresti nulla. Diventerei un carnefice anch’io, e non darei giustizia a Pamela”, ha raccontato Verni. Per l’occasione, si è preparata in modo simbolico: “Mi sono vestita come lei quel giorno, ho scurito i capelli come i suoi, con la coda e la frangia, e ho indossato una maglietta con le foto di come l’ha ridotta, per ricordargli cosa ha fatto”. Un gesto forte, per riportare Pamela al centro di quel colloquio. “Mi sono presentata come lei”, ha aggiunto.

Il faccia a faccia è stato civile, un dialogo durato ore di cui Verni non ha voluto rivelare i dettagli. “Abbiamo parlato. Penso sia servito a me, forse anche a lui”, ha detto, ribadendo il suo obiettivo: “Gli ho detto che deve denunciare. Io non mi fermo, continuo a cercare i suoi complici”. La mamma di Pamela è convinta che altri siano coinvolti, nonostante le indagini non abbiano mai individuato complici. “Lui deve parlare, può dare giustizia a mia figlia”, ha insistito.

Verni ha però messo in chiaro un punto: questo incontro non deve diventare per Oseghale una via per ottenere benefici o permessi premio. “Una vittima che incontra il carnefice non dovrebbe passare per la giustizia riparativa, dovrebbero cambiare qualcosa”, ha sottolineato, criticando un sistema che a volte lega tali confronti a percorsi di clemenza. Nel raccontare questa giornata, ha voluto ringraziare chi l’ha sostenuta: “Il corpo della polizia penitenziaria e la dirigente del carcere sono stati fantastici. Oggi Dio e Pamela mi sono stati vicini. Ho aperto il cuore, ho parlato con il cuore, anche se all’inizio la rabbia c’era”.

Sette anni dopo quel gennaio tragico, Alessandra Verni continua la sua battaglia. L’incontro con Oseghale non è stato una chiusura, ma un nuovo capitolo nella sua ricerca di verità. “Non mi fermerò”, ha promesso, con la forza di una madre che, nonostante il dolore, non smette di lottare per la memoria della figlia.

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