Boldini, De Nittis e Zandomeneghi narrano lo splendore e le crepe di un mondo alla vigilia di una stagione irripetibile.
Pisa – Un percorso stimolante e inedito quello proposto al Palazzo Blu per la mostra Belle Époque, che si configura come una vera e propria immersione sensoriale e culturale in una stagione storica tanto luminosa quanto fragile.
L’itinerario consente di attraversare i nomi più talentuosi della pittura italiana tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, artisti capaci di coniugare la sperimentazione visiva delle eteree tecniche d’oltralpe — molti di loro infatti soggiornarono per lunghi periodi a Parigi — alla grazia civettuola e corposa dell’estetica nostrana.
La patria che vide autentici geni della fisicità e della materia, come Caravaggio e Michelangelo, non poteva tradire un retaggio culturale glorioso e non “eradicabile”: anche nel dialogo con la modernità europea, l’Italia conserva una sensualità plastica e un culto della forma che rimangono distintivi.
La mostra non si limita a restituire una cronaca mondana dell’epoca, ma suggerisce una riflessione più profonda sul concetto stesso di Belle Époque, spesso idealizzato come un tempo di frivolezza e leggerezza.
In realtà, dietro le sete, i guanti e i salotti eleganti, affiora una sottile inquietudine: l’intuizione di un mondo sull’orlo di un cambiamento irreversibile, che di lì a poco sarebbe stato travolto dalla Grande Guerra.

Questa ambivalenza tra splendore e precarietà rende il percorso espositivo ancora più affascinante.
Così i visi deliziosamente maliardi delle belle signore dell’alta società di Boldini dardeggiano gli spettatori da dietro le nere ciglia socchiuse o dalle spalle scoperte: non semplici ritratti, ma icone di un femminile emancipato, consapevole del proprio potere seduttivo e simbolo di una nuova centralità sociale, ravvisabile in In Giovane donna in déshabillé (1878).
Molta estetica dannunziana — il Vate imperversava in quegli anni — è ravvisabile negli arredi, nelle pose e nella lussuriosa opulenza delle dimore, dove l’arte diventa dichiarazione di status e stile di vita, oltre che piacere visivo.
Emblematica in tal senso è Alle corse di Auteuil – Sulla seggiola di Giuseppe De Nittis (1883), dove la mondanità parigina si fa spettacolo e osservazione reciproca.
La figura femminile, isolata e al tempo stesso immersa nel contesto sociale delle corse, diventa fulcro visivo e simbolico: De Nittis coglie con straordinaria finezza quell’attimo sospeso tra ostentazione e introspezione, tra desiderio di apparire e consapevolezza di essere guardati.

È la modernità che avanza, filtrata dallo sguardo di un artista radicato nel profondo Sud pugliese ma autentico cittadino del mondo. Con Guardiana di tacchini (1890) Federico Zandomeneghi sposta invece l’asse narrativo verso una dimensione più intima e raccolta.
Qui la Belle Époque si sveste della sua opulenza per rivelare un’umanità semplice, fatta di gesti quotidiani e di una luce che accarezza le forme senza mai sovrastarle. Maestro del colore e della luce, Zandomeneghi trasforma i cromatismi in vibranti svolazzi di vita: l’impressione non è solo ottica, ma profondamente emotiva, veicolo di affetti e di una serenità silenziosa. La stessa poetica si ritrova in Bavardage (1895), dove il dialogo tra figure femminili diventa pretesto per indagare la psicologia, la complicità e la dimensione affettiva del vivere insieme.
In netto contrasto con la teatralità dei salotti aristocratici, Zandomeneghi restituisce una Belle Époque domestica, fatta di sussurri, di relazioni e di una delicatezza che sfiora l’intimità più autentica.
In generale, lo spirito del tour è quello di rievocare un’epoca spensierata, vitale, sfacciata e opulenta, ma anche di suggerire una lettura più consapevole e stratificata di quel periodo storico.
La Belle Époque emerge così non solo come stagione irripetibile di splendore e creatività, ma come fragile parentesi di bellezza sospesa, destinata a infrangersi contro le ombre del Novecento: ed è forse proprio questa sua natura effimera a renderla ancora oggi così magnetica e profondamente umana. (La recensione del prof. prof. Romano Pesavento).