Il ricco imprenditore ritiene di poter rimanere impunito e, in effetti, sino ad oggi l’avrebbe fatta franca grazie a rinvii e prescrizioni. Adesso la resa dei conti.
VERCELLI – Sul banco degli imputati è rimasto da solo il magnate dell’Eternit Stephan Schmidheiny, 73 anni, imprenditore svizzero originario di Heerbrugg, cantone di San Gallo. L’uomo, laureato in legge, era stato condannato a 18 anni di carcere dalla corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit sparsi in tutta Italia ma l’intervenuta prescrizione, polemiche a parte, cancellò i gravi reati ambientali ascrittigli. Adesso è stato rinviato a giudizio dal Gip di Vercelli, Fabrizio Filice, per rendere conto e ragione dell’ipotesi di reato per omicidio volontario di ben 392 persone, vittime a vario titolo delle malattie connesse al contatto con l’asbesto.
Il processo, denominato “Eternit bis”, risente dei tempi lunghi della giustizia italiana e inizierà il prossimo 27 novembre a Novara, città su cui ricade la giurisdizione della locale corte d’Assise. Ritardi a parte, meglio che nulla. Infatti tra dilazioni e prescrizioni c’era anche il rischio che lo spocchioso industriale svizzero la facesse franca ma poi, come spesso accade, in zona Cesarini, un buon magistrato di turno ha inteso rendere giustizia alle vittime che sono morte in fabbrica e a casa per un tozzo di pane.
Adesso Schmidheiny dovrà rispondere, in primis, della morte di operai e familiari della fabbrica Eternit di Casale Monferrato ma sulla sua testa pendono anche una condanna a 4 anni per omicidio colposo e altri due processi in corso a Reggio Emilia e Napoli. Nel maxi-processo Eternit Uno, Schmidheiny era stato condannato a 18 anni di carcere in primo e in secondo grado ma la prescrizione lo aveva prosciolto, ritenendo che la fortuna fosse ancora dalla sua parte. Il Gup piemontese, di contro, ha confermato il grave capo d’accusa accogliendo la richiesta dei Pm Francesco Alvino e Roberta Brera e del Pm torinese Gianfranco Colace, che si era occupato del caso Eternit insieme all’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello.
I magistrati inquirenti sono convinti, ma non sono i soli, che Schmidheiny fosse perfettamente consapevole dei rischi che comportava la fibra di amianto, perché le conoscenze scientifiche, all’epoca dei fatti, avevano già evidenziato gli effetti mortali dell’asbesto sul corpo umano. L’imprenditore, nel suo disegno criminoso, avrebbe posto in essere una campagna di disinformazione affinché le maestranze non venissero informate sui gravi effetti delle fibre letali sulla salute dell’uomo. Ora la resa dei conti:
”… Quando penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito – aveva detto più volte l’imputato – non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno… Il mio comportamento sarà giudicato correttamente e un giorno verrò assolto… ”.
L’industriale svizzero, per come si sono messe le cose e nonostante il parere di Astolfo Di Amato, uno dei suoi avvocati, avrebbe tutte le carte in regola per finirci in galera, e rimanerci, nel rispetto della presunzione d’innocenza, s’intende:
”… Non cerchiamo vendetta ma chiediamo giustizia per la nostra gente – ha aggiunto Federico Riboldi, sindaco di Casale Monferrato – La decisione del Gip di Vercelli apre uno spiraglio alla richiesta di giustizia della nostra comunità che ha saputo negli anni rendere libero il territorio dall’amianto ed essere faro a livello internazionale per la lotta alla produzione della fibra killer… Questo il significato della nostra lotta, questo è il tributo ai nostri morti…”.
Anche i comitati degli ex esposti e delle vittime dell’amianto hanno fatto sentire forte la loro voce, ovviamente senza nascondere una certa preoccupazione:
”…Speriamo che la giustizia faccia il suo corso – ha concluso Silvio Mingrino, presidente nazionale Avani – la nostra non è affatto sete di vendetta ma di verità. Se risulterà colpevole dovrà pagare per ciò che ha fatto nel rispetto di quelle vite spezzate che solo su Broni sono state oltre 3.000 dal primo caso di decesso per mesotelioma pleurico. Staremo a vedere…”.