A 31 anni morì ucciso da un proiettile vagante, moglie e figlia a rischio sfratto

Carmela Sermino rischia l’allontanamento dall’immobile confiscato. La beffa dopo il dolore: nessun riconoscimento ufficiale per Giuseppe Veropalumbo.

Torre Annunziata – Un colpo di pistola nella notte di Capodanno ha spezzato per sempre la vita di una famiglia. Era il 31 dicembre 2007 quando Giuseppe Veropalumbo, trent’anni, operaio incensurato di Torre Annunziata, venne colpito mortalmente mentre teneva in braccio sua figlia di appena dodici mesi. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. La piccola Ludovica e sua madre Carmela Sermino stavano per brindare al nuovo anno insieme a lui. Non lo avrebbero più fatto.

Secondo le ricostruzioni investigative e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, quel proiettile non era destinato a Giuseppe. Sarebbe partito dal cosiddetto “quadrilatero delle carceri”, sparato da minorenni affiliati alla camorra locale in direzione di un obiettivo ben preciso. Giuseppe si è trovato sulla traiettoria sbagliata, al momento sbagliato. La Procura ha accertato il contesto mafioso dell’omicidio, ma non è mai arrivata una sentenza che riconoscesse formalmente Veropalumbo come vittima innocente della criminalità organizzata.

Una lacuna burocratica che pesa come un macigno sulla vita di chi è rimasto.

Carmela è rimasta sola, con una neonata da crescere e nessun sostegno economico. Per anni ha vissuto grazie all’aiuto dei familiari, senza casa di proprietà, in condizioni di grave difficoltà. Ha subito intimidazioni, furti e danneggiamenti. Ma non si è arresa. Ha fondato un’associazione intitolata al marito e ha iniziato a girare le scuole per parlare di legalità, di memoria di resistenza civile.

Carmela Palumbo

Nel 2016 arriva una svolta. Il Comune di Torre Annunziata, allora guidato dal sindaco Giosuè Starita, le assegna un appartamento confiscato al clan Agretti in via Vittorio Veneto. Il decreto comunale è esplicito: Carmela è vedova di un uomo ucciso in un agguato mafioso, vive in condizioni economiche precarie, non ha immobili. Quell’abitazione non è un regalo, ma un atto riparativo. Un modo per restituire dignità a chi ha pagato un prezzo altissimo per colpa della criminalità.

Carmela e Ludovica entrano in quella casa nel 2018. La sistemano, la rendono vivibile. Ne fanno anche un luogo di memoria attiva: ospitano incontri con studenti, iniziative di sensibilizzazione, visite istituzionali. È diventata simbolo di riscatto contro i clan.

Ad aprile 2025, quasi vent’anni dopo la morte di Giuseppe, arriva una notifica che suona come una condanna. Il Comune, ora guidato dal sindaco Corrado Cuccurullo, avvia la procedura di rilascio dell’immobile. Motivazione: l’assegnazione aveva una durata temporanea di nove anni, scaduta ad agosto. Carmela e sua figlia devono lasciare la casa entro quella data.

Quattro mesi di preavviso, invece dei canonici sei. Un dettaglio amministrativo che si aggiunge all’amarezza. Carmela contesta la scadenza: nei documenti in suo possesso si parla di temporaneità, ma senza termini precisi. Il Comune sostiene invece che il limite dei nove anni sia previsto dalla normativa.

Il risultato è lo stesso: la vedova di una vittima di camorra deve fare i bagagli e lasciare la casa che lo Stato le aveva assegnato proprio perché vedova di una vittima di camorra.

Il paradosso è tutto qui. Giuseppe Veropalumbo è morto per mano della criminalità organizzata, questo è accertato. Ma non essendoci una sentenza definitiva che lo riconosca ufficialmente come vittima innocente, Carmela non ha accesso ad alcun beneficio: né a un posto di lavoro stabile riservato ai familiari delle vittime, né a sostegni economici. Lavora part-time al teatro Trianon grazie all’intervento di Nino D’Angelo, ma un affitto a prezzo di mercato sarebbe per lei insostenibile.

“Mio marito non aveva mai avuto nemmeno una multa”, racconta con amarezza. “Era un uomo onesto, lavoratore, un padre. Eppure dopo diciotto anni non abbiamo ancora un riconoscimento. E ora lo Stato ci toglie anche la casa”.

Sul caso sono intervenute la Fondazione Polis e l’associazione Libera, che seguono la vicenda insieme al vicesindaco Tania Sorrentino, a sua volta vedova di Maurizio Cerrato, ucciso nel 2021. Sono in corso tavoli istituzionali per trovare una soluzione. Carmela ha lanciato una petizione che in pochi giorni ha raccolto oltre 1.700 firme.

Ma la domanda resta, scomoda e ineludibile: può lo Stato, che non ha mai risarcito una vittima della camorra, toglierle anche l’unico bene che le aveva concesso per sopravvivere?

La risposta non può essere scritta in un regolamento comunale. Deve essere cercata nella coscienza civile di un Paese che troppo spesso dimentica chi ha pagato per la criminalità altrui.