Emesso un mandato di cattura internazionale. Lo scorso aprile l’uomo era stato arrestato per maltrattamenti e poi rilasciato.
Ancona – Si sono estese su scala internazionale le ricerche di Nazif Muslija, cinquantenne accusato dell’omicidio della moglie Sadjide, il cui corpo è stato scoperto nella loro abitazione di Pianello Vallesina, frazione di Monte Roberto in provincia di Ancona. Contro l’uomo è stato spiccato un mandato di cattura valido oltre i confini nazionali, mentre le autorità stanno setacciando il territorio.
Il cadavere della donna è stato rinvenuto nella giornata di ieri intorno alle 10.30 dai militari dell’Arma, allertati dal datore di lavoro della vittima dopo che questa non si era presentata presso l’azienda di confezionamento dove era impiegata. Gli investigatori hanno trovato Sadjide sul letto matrimoniale con gravissime lesioni alla testa e al viso, segni evidenti di un’aggressione brutale e prolungata che non le ha lasciato scampo.
Nella giornata odierna gli specialisti della Sezione investigazioni scientifiche dei Carabinieri di Ancona sono tornati nell’abitazione per condurre analisi approfondite alla ricerca di elementi microscopici. Durante le indagini è stato individuato lo strumento utilizzato per perpetrare il delitto: un elemento tubolare in metallo destinato normalmente all’assemblaggio di ponteggi edili, ancora macchiato di sangue. La dinamica ricostruita dagli inquirenti parla di colpi ripetuti inferti con violenza estrema.
Secondo gli elementi raccolti, il presunto responsabile si sarebbe allontanato alla guida di una vettura Smart. Anche lui ieri mattina non si è recato al lavoro, presso un’impresa specializzata nella produzione di serramenti in legno, destando preoccupazione nel titolare dell’azienda. Quest’ultimo si era recato personalmente presso l’abitazione del dipendente trovando già sul posto le forze dell’ordine impegnate nei rilievi, proseguiti per diverse ore fino a sera inoltrata.
Emergono dettagli inquietanti sul passato della coppia. Nazif Muslija era stato giudicato colpevole di aggressioni e vessazioni ai danni della consorte, patteggiando una pena di un anno e dieci mesi di reclusione. Come parte delle misure previste, avrebbe dovuto partecipare a un programma riabilitativo della durata di dodici mesi specificamente pensato per uomini autori di violenze domestiche.
Il programma, divenuto esecutivo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza nel settembre 2025, prevedeva sessioni bimestrali per un totale complessivo di sessanta ore. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dal legale difensore dell’uomo, il suo assistito non aveva ancora iniziato il percorso poiché “non c’era disponibilità di posti nell’ente designato per l’attuazione del programma”.
La vittima e il presunto assassino hanno un figlio di 27 anni, che attualmente risiede fuori dai confini nazionali. Quando il difensore del padre lo ha informato dell’accaduto, il giovane avrebbe risposto con parole che gelano il sangue: “Me lo aspettavo”. Una frase che lascia intuire quanto la situazione familiare fosse già percepita come potenzialmente esplosiva e quanto il clima di tensione fosse noto anche a chi viveva lontano.