Rete Zeromolestie invita a riflettere sul “consenso revocabile”

L’associazione critica il DDL, temendo possibili squilibri giuridici e l’insorgere di nuove tensioni sociali e culturali tra uomini e donne.

Roma – La proposta di legge sul consenso libero e attualmente ferma al Senato, che permetterebbe di revocare il consenso sessuale in qualsiasi momento (“Voglio essere libera di andare in camera con un uomo e fare sesso, e poi cambiare idea”), ha scoperchiato un vaso di Pandora ideologico dando il via all’odio di alcune donne verso gli uomini.

Questa prospettiva, sposata da una parte del movimento femminista radicale e da certa politica, non mira all’uguaglianza, ma alla supremazia e alla vendetta storica contro l’uomo, trasformando l’atto sessuale consensuale in un potenziale ricatto psicologico e legale a carico di quel che resta del maschio.

La logica del “posso cambiare idea in qualunque momento” è profondamente distruttiva per i rapporti tra i sessi, e manifesta un chiaro desiderio di potere e dominio sull’altro. Se il consenso è revocabile ex post e senza limiti temporali, l’uomo è posto costantemente in balia degli umori o delle decisioni unilaterali della partner. Questo non è libertà, ma l’istituzionalizzazione di un ricatto psicologico potenzialmente devastante sulla vita dell’uomo e della nostra società.

Una certa frangia del movimento femminista, invece di lottare per la vera parità civile, sociale e professionale (che non si ottiene certamente cambiando al femminile desinenze e articoli), persegue sostanzialmente una rivalsa storica. L’obiettivo sembra essere la supremazia, ovvero la possibilità di decidere unilateralmente sulla fedina penale e la distruzione sociale di un uomo. Non si vuole “non subire violenza”, ma essere “libere di poter compiere la violenza psicologica e legale a danno dell’altro”.

L’approvazione di questo disegno di legge non solo distrugge il completamento del percorso millenario che ha raggiunto la parità giuridica tra i sessi, ma distrugge anche la cultura della parità, e soprattutto stravolge i principi sacrosanti del nostro ordinamento.

La Costituzione e il Codice di Procedura Penale stabiliscono che chi accusa ha l’onere di provare la colpevolezza e che l’imputato è innocente fino a prova contraria. Il DDL, così come è stato proposto, suggerisce, invece, che alla mera dichiarazione della donna di aver subito violenza, con un non consenso sopraggiunto, segua l’inversione dell’onere della prova.

Sarà l’uomo, l’imputato, a dover provare la sua innocenza, arrampicandosi sugli specchi per dimostrare l’esistenza del consenso dato in precedenza. L’attuale normativa richiede riscontri oggettivi alla dichiarazione della vittima per procedere, non basta la sola denuncia per condannare. Mentre l’attuale stesura di questo DDL sembra negare la necessità di tali riscontri. L’affermazione che “ogni atto sessuale senza il consenso è violenza, è stupro, e quindi è reato” è una negazione dell’esistente.

Già il Codice Penale italiano condanna da decenni gli atti sessuali non consensuali, Art. 609-bis c.p. – Violenza Sessuale. Il problema non è la mancanza di norme, ma la loro applicazione e, soprattutto, la mancanza di una cultura che accetti la parità. L’introduzione di norme discriminatorie, come la fattispecie del femminicidio senza il corrispettivo di un maschicidio, che di fatto altera la pena per l’omicidio in base al sesso della vittima, in palese contrasto con il principio di uguaglianza dell’Art. 3 della Costituzione, dimostra che parte della politica ha già avviato la regressione sociale e lo scontro tra i sessi.

Uccidere una donna non può essere punito con l’ergastolo mentre uccidere un uomo solo con 21 anni, se l’omicidio non è aggravato da specificità che ne determinano la pena. Il vero nodo dei femminicidi è innanzitutto culturale, non soltanto normativo. Continuare a introdurre leggi che finiscono per contrapporre uomini e donne, attribuendo a una parte il potere di colpire l’altra, non può essere la soluzione a un fenomeno così radicato e vile.

La prevenzione passa da un cambiamento profondo e condiviso, è indispensabile investire in programmi di educazione e sensibilizzazione nelle scuole, nelle famiglie e tra i giovani, per diffondere una cultura del rispetto, della parità e della responsabilità reciproca. Solo promuovendo modelli relazionali sani e paritari, e lavorando sulle basi culturali che alimentano la violenza di genere, sarà possibile contrastare davvero questo drammatico problema e prevenirlo alla radice.