“Non sono un mostro senza anima che ha pestato a morte un ragazzo. Io non ho ucciso nessuno”, scrive il 30enne di Artena, condannato per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte.
Rebibbia – A cinque anni dalla tragica notte di Colleferro che costò la vita a Willy Monteiro Duarte, uno dei protagonisti della vicenda torna a far parlare di sé. Gabriele Bianchi, condannato insieme al fratello Marco per l’omicidio del ventunenne di Paliano, ha scritto un libro dal carcere di Rebibbia dove sta scontando la sua pena. “La verità che nessuno vuole accettare” è il titolo scelto per le settanta pagine in cui rivendica la propria innocenza.
La ricostruzione di quella tragica notte
Per comprendere il contesto in cui nasce il libro di Gabriele Bianchi, è necessario ripercorrere quella drammatica notte tra il 5 e il 6 settembre 2020.
Willy Monteiro Duarte, 21enne di origine capoverdiana, viveva e lavorava come aiuto cuoco a Paliano (Frosinone). Quella sera Willy era uscito con gli amici Emanuele Cenciarelli, Matteo e Marco nei locali della movida in largo Santa Caterina a Colleferro. Il gruppo era arrivato verso l’1:30 e si era intrattenuto fino alle 3 circa, quando avevano deciso di tornare a casa.

Quella stessa sera era uscito il gruppo di Artena con cui si sarebbe tragicamente incrociato il destino di Willy. Il gruppo era composto dai fratelli Marco e Gabriele Bianchi, entrambi lottatori professionisti di MMA, Francesco Belleggia e Mario Pincarelli. Come rivelato da un testimone presente quella sera: “È nato tutto per un litigio tra terzi all’interno del locale per dei like a una ragazza. Francesco Belleggia stava discutendo con alcune persone e ha tirato un pugno in faccia a qualcuno”.
L’escalation della violenza
La lite iniziata nel locale si è trasferita all’esterno, precisamente nei giardinetti di largo Oberdan. Secondo l’ordinanza del gip di Velletri Giuseppe Boccarato e le testimonianze raccolte, si è trattato di un pestaggio di una “violenza inaudita”, brutale, con gli aggressori che non si sono fermati neanche quando Willy era a terra, tanto che qualcuno “saltava anche sul suo corpo inerme”.
I fratelli Bianchi, chiamati per dare manforte agli amici in difficoltà, sono arrivati a bordo di un SUV Audi. Come rivelato da Francesco Belleggia durante gli interrogatori: “Nell’Audi eravamo in 6”, indicando la presenza di altre persone oltre ai quattro poi arrestati.

Il gesto fatale di Willy
Willy, secondo le testimonianze, “sarebbe stato accerchiato da quattro o cinque persone dopo il suo tentativo di far da paciere nel corso di una lite per futili motivi scoppiata poco dopo le 2 di notte”. Quando ha riconosciuto tra i ragazzi a terra il suo amico Samuele, vittima del pestaggio, si è avvicinato per aiutarlo.
Il pestaggio è durato circa 50 secondi, durante i quali Willy è stato colpito senza sosta. I fratelli Bianchi, con la loro preparazione atletica da lottatori di MMA, sapevano esattamente dove colpire per fare il massimo danno. Come ha dichiarato il maresciallo Antonio Carella, tra i primi a soccorrere Willy: “Quella in cui è rimasto vittima Willy è stata una scena disperata, tra le più cruente alle quali abbia assistito durante i miei anni di servizio”.
Come emerso dalle indagini e dalle testimonianze processuali, il gruppo di Artena aveva già messo in atto comportamenti violenti, come confermato da diversi testimoni: “Qualche mese prima del delitto, in un locale di Colleferro, hanno spaccato la faccia a un ragazzo, gli hanno dovuto mettere 20 punti”. I fratelli Bianchi, in particolare, erano conosciuti negli ambienti della movida locale per la loro aggressività e per diversi episodi di bullismo.
Le testimonianze chiave
La ricostruzione più dettagliata dell’accaduto è stata fornita da Emanuele Cenciarelli, amico di Willy, che ha raccontato agli inquirenti: “Era l’1.30 circa. Io insieme ai miei amici Willy, Matteo e Marco con le auto di Willy e Marco, siamo arrivati a Colleferro presso i locali della movida in largo Santa Caterina. Una volta arrivati ci siamo intrattenuti per un paio d’ore, fino alle 3 circa, e poi abbiamo deciso di andarcene per fare rientro a Paliano”.
Il momento cruciale è arrivato quando il gruppo si è diretto verso le auto parcheggiate. È qui che Willy ha riconosciuto il suo amico in difficoltà e ha deciso di intervenire, un gesto che gli è costato la vita.
Il percorso giudiziario: dall’ergastolo alla riduzione di pena
Il caso giudiziario ha attraversato tutti i gradi di giudizio con esiti differenziati per i quattro imputati. In primo grado, i fratelli Bianchi furono condannati all’ergastolo, mentre Belleggia e Pincarelli ricevettero rispettivamente 23 e 21 anni di reclusione. Francesco Belleggia, primo a collaborare fornendo una versione credibile dei fatti, ottenne i domiciliari.

In secondo grado, la situazione è cambiata: l’ergastolo per i fratelli Bianchi è stato sostituito da una condanna a 24 anni di reclusione ciascuno, mentre le pene per Belleggia e Pincarelli sono state confermate. La Cassazione ha successivamente reso definitive le condanne di Pincarelli (21 anni) e Belleggia (23 anni), mentre ha rinviato i fratelli Bianchi a un nuovo processo d’appello per la valutazione delle attenuanti generiche.
È proprio in questo contesto giudiziario ancora aperto che si inserisce il libro di Gabriele Bianchi, per il quale la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha successivamente rideterminato la pena riconoscendo le attenuanti generiche, riducendola a 28 anni.
L’eredità legislativa: il “Daspo Willy” contro la violenza urbana
L’omicidio di Willy Monteiro Duarte non ha lasciato solo un vuoto incolmabile nella famiglia e nella comunità ma ha anche spinto il legislatore a intervenire con nuove misure per contrastare la violenza urbana. A seguito del decesso del giovane, il governo Conte ha emanato una norma per l’innalzamento delle pene per il reato di rissa, con l’introduzione di un provvedimento amministrativo, denominato “Daspo Willy”, riguardante il divieto di accesso in determinati locali ed edifici pubblici per i protagonisti di atti di disordine o violenza.

Il decreto-legge 14 ottobre 2020, n. 150, ha ampliato significativamente i poteri del Questore nell’applicazione del cosiddetto “daspo urbano”. A seguito dell’introduzione del Daspo Willy, il questore può disporre l’allontanamento da specifici locali e servizi pubblici, prevedendosi la pena della reclusione fino a due anni e della multa fino a euro 20.000 per coloro i quali violino il suddetto provvedimento.
La normativa rappresenta un inasprimento della legislazione esistente in materia di sicurezza urbana. Non si richiede più una condanna definitiva, bensì una o più denunce o una condanna, anche non definitiva per reati connessi allo spaccio di stupefacenti. In caso di violazione, viene comminata la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni e la multa da 8.000 a 20.000 euro.
Il libro: rivendicazione di innocenza o strategia difensiva?
Nelle settanta pagine a sua firma, Gabriele Bianchi si presenta come vittima di un “processo mediatico, con un esito già scritto”.

La prefazione del libro è emblematica del tono utilizzato: “Sono un innocente che l’opinione pubblica ha condannato prima che potesse uscire la verità. Una verità che urlo a gran voce da quasi 5 anni. Non sono un assassino senza cuore, un mostro senza anima che ha pestato a morte un ragazzo. Io non ho ucciso nessuno”.
Il linguaggio utilizzato rivela una strategia narrativa precisa: Bianchi cerca di umanizzare la propria figura attraverso il racconto della sofferenza personale e del rapporto con il figlio (nato poco dopo l’omicidio) durante i colloqui in carcere. Descrive come “negli ultimi quattro anni della mia vita, ho visto sgretolarsi le certezze che credevo incrollabili”, trasformando se stesso da accusato a vittima di un sistema che non lo comprende.
La pubblicazione di questo libro solleva questioni complesse sul rapporto tra giustizia, comunicazione e diritto alla parola. Da un lato, il diritto costituzionale alla libera espressione garantisce anche ai detenuti la possibilità di raccontare la propria versione dei fatti. Dall’altro, la famiglia di Willy Monteiro e l’opinione pubblica potrebbero percepire questa iniziativa come un tentativo di riscrivere una storia già chiarita dalla giustizia.
La memoria di Willy e l’elaborazione del trauma collettivo
L’omicidio di Willy Monteiro Duarte ha rappresentato uno spartiacque doloroso nella coscienza collettiva del Paese. La sua morte ha scosso profondamente l’opinione pubblica, portando alla luce non solo il tema della ferocia giovanile ma anche quello del razzismo strisciante e delle disuguaglianze sociali.
Willy è diventato simbolo dell’innocenza calpestata e della dignità umana violata. Il suo gesto di coraggio ha mostrato il volto più nobile della gioventù, mentre la sua tragica fine ha messo in discussione i valori di convivenza e civiltà su cui dovrebbe fondarsi ogni società.

In questo contesto, il libro di Gabriele Bianchi rischia di essere percepito come un tentativo di offuscare la memoria della vittima. La famiglia Monteiro Duarte, che ha sempre mantenuto una dignità esemplare durante tutto il percorso giudiziario, si trova ora a dover affrontare anche questa forma di “processo parallelo” condotto attraverso la carta stampata.
Il libro di Gabriele Bianchi “La verità che nessuno vuole accettare” è già disponibile online. Al momento, però, l’unica verità incontrovertibile in tutta questa storia è che la voce di Willy sia stata spezzata quella notte di settembre, lasciando solo il ricordo di un gesto di solidarietà che gli è costato la vita.