L’impronta digitale non è sufficiente a condannare un imputato per furto e incendio. Una sentenza del tribunale di Palermo può riscrivere il sistema delle indagini penali.
Palermo – La IV Sezione penale del tribunale di Palermo ha assolto un uomo di 50 anni, pluripregiudicato, dall’accusa di furto e incendio in un’abitazione nel centro di Palermo. Il fatto risale al 2014.
Nel corso delle indagini condotte nell’appartamento svaligiato e incendiato, la Polizia scientifica rileva, su una bomboletta spray in alluminio di una nota marca di pesticida, un’impronta papillare (dell’intera mano destra) che non appartiene né ai proprietari di casa, né alle vittime del reato. L’impronta viene comparata con quelle contenute nei database, senza però fornire alcun riscontro positivo. Se quelle impronte appartengono al ladro, di lui non c’è traccia in alcun archivio ufficiale.

La svolta nelle indagini
Quattro anni dopo la svolta: un uomo viene arrestato per un altro analogo episodio, gli vengono prese le impronte digitali (di uno o più dita) e queste risultano identiche a quelle trovate sulla bomboletta spray nel 2014, in quel furto e incendio rimasto senza responsabile. All’uomo viene dunque contestato anche questo reato. Da lì il rinvio a giudizio e il processo durato diversi anni.
L’impronta digitale dell’arrestato corrisponde al 100% a quella papillare presa sulla bomboletta spray. Per gli investigatori non ci sono dubbi: è stato lui a compiere anche il raid nell’appartamento al centro di Palermo; gli inquirenti non hanno, però, nei suoi confronti altre prove, se non quella traccia unica ed inequivocabile.
La consulenza di parte che ribalta ogni certezza
L’avvocato Carmelo Ferrara, difensore dell’imputato, chiede il supporto del criminologo forense e autore di pubblicazioni scientifiche Umberto Mendola, la cui consulenza tecnica smonta l’intero impianto accusatorio. Secondo la relazione firmata da Mendola, non è possibile affermare quando e dove sia stata toccata la bomboletta spray.

“Un’impronta papillare o digitale” – spiega Mendola a Il Giornale Popolare – “può rimanere su una superficie liscia, metallica, come una bomboletta, per un periodo di tempo che va da 0 a 15 anni“. “Esistono studi scientifici di riferimento che, a seconda del materiale dell’oggetto toccato, individuano il range temporale entro cui un’impronta può rimanere impressa su un oggetto“. Le impronte digitali rilasciano sostanze biologiche come sebo, proteine, sudore. “Maggiore è la quantità di queste secrezione trovate, tanto più significa che l’oggetto è stato toccato da poco tempo. Se le secrezioni rilevate sono poche, viceversa, significa che l’oggetto è stato toccato in un periodo molto più risalente nel tempo“, ci spiega Mendola.
Perché non basta la sola impronta digitale?
Nel caso di specie non è stato possibile determinare quando e dove quella bomboletta era stata toccata. Non c’era nessuna prova che il contatto fosse avvenuto nell’abitazione svaligiata e incendiata. Nessuna altra prova confermava la presenza dell’imputato sulla scena del crimine. Contro di lui c’era solo l’impronta papillare sulla bomboletta, ma, come rilevato dalla difesa, quest’oggetto avrebbe potuto essere stato toccato dall’imputato molto tempo prima: ad esempio nel supermercato dove era esposto alla vendita, prima del suo acquisto da parte delle vittime del reato. La Procura ha sostenuto fino all’ultimo che la presenza dell’impronta digitale fosse un elemento sufficiente per condannare l’uomo, il Tribunale ha invece accolto le tesi della difesa. Il cinquantenne è stato così assolto.

Perché la sentenza può essere importante?
La sentenza del Tribunale, se passasse in giudicato, potrebbe riscrivere il sistema delle indagini penali e costituire un precedente per tutti quei casi processuali basati su impronte digitali isolate. Il principio giuridico fissato dalla pronuncia è che la sola impronta, di cui non si conosce la datazione e non accompagnata da una ricostruzione precisa del contesto, può non essere sufficiente a condannare una persona. La sentenza potrebbe essere di interesse per gli avvocati di Andrea Sempio e Alberto Stasi nel caso di Garlasco?