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Israele blocca la nave umanitaria Madleen diretta a Gaza: fermati 12 attivisti tra cui Greta Thunberg

L’imbarcazione della Freedom Flotilla Coalition è stata intercettata in acque internazionali mentre trasportava aiuti alimentari per la popolazione della Striscia. Tra gli attivisti fermati a bordo dell’imbarcazione anche Greta Thunberg.

La marina militare israeliana ha bloccato e abbordato, nella notte tra domenica e lunedì, la Madleen, una piccola imbarcazione della Freedom Flotilla Coalition che trasportava modeste quantità di cibo e beni essenziali diretti verso la Striscia di Gaza. L’operazione, secondo l’organizzazione umanitaria, è avvenuta in acque internazionali al largo della costa egiziana, in un punto strategico, che sottolinea ancora una volta la determinazione israeliana nel mantenere il controllo totale sui flussi di aiuti umanitari verso il territorio palestinese.

L’intercettazione della Madleen rappresenta l’ennesimo capitolo di una lunga serie di interventi militari israeliani contro le flottiglie umanitarie che tentano di raggiungere Gaza per aggirare il blocco navale in vigore da oltre quindici anni. Le autorità israeliane hanno considerato la piccola imbarcazione, nonostante le sue dimensioni ridotte e il carico limitato, una minaccia alla sicurezza nazionale. Il tutto per giustificare l’intervento in acque che, secondo il diritto internazionale, dovrebbero essere libere dalla giurisdizione israeliana.

A bordo dell’imbarcazione, partita il primo giugno dal porto di Catania, in un clima di crescente attenzione mediatica internazionale, si trovavano 12 attivisti ora fermati dalle autorità israeliane in attesa di essere espulsi verso i rispettivi Paesi. Tra loro figurano personalità di spicco del panorama internazionale: l’attivista ambientale svedese Greta Thunberg, diventata simbolo globale della lotta per la giustizia climatica e sociale, e l’europarlamentare francese di origini palestinesi Rima Hassan, voce autorevole nella politica europea per i diritti umani.

A bordo della Madleen anche Greta Thunberg

La presenza di figure così riconosciute a livello internazionale non è casuale ma rappresenta una strategia precisa della Freedom Flotilla Coalition per attirare l’attenzione dei media mondiali sulla crisi umanitaria di Gaza. La nave è stata condotta nel porto israeliano di Ashdod, dove le autorità hanno organizzato una messa in scena mediatica, diffondendo un video che mostra l’equipaggio della Madleen ricevere cibo a bordo di un’imbarcazione militare israeliana, nel tentativo di dimostrare il trattamento “umano” riservato agli attivisti. La scelta del porto di Catania come punto di partenza ha un significato particolare, visto che la Sicilia rappresenta un crocevia naturale per le operazioni umanitarie nel Mediterraneo orientale.

Il blocco umanitario e le critiche alla Gaza Humanitarian Foundation

L’iniziativa della Freedom Flotilla Coalition si inserisce nel contesto del severo controllo israeliano sugli aiuti umanitari diretti a Gaza, una situazione che ha raggiunto livelli di gravità senza precedenti negli ultimi mesi. Tra marzo e maggio, Israele aveva completamente bloccato l’ingresso di cibo, medicine e carburante, creando una crisi umanitaria che ha colpito duramente i 2,3 milioni di abitanti del territorio, molti dei quali già vivevano in condizioni di estrema povertà prima dell’escalation del conflitto.

Sebbene le consegne siano parzialmente riprese dopo le pressioni internazionali, le quantità di beni di prima necessità che riescono a raggiungere la Striscia rimangono drammaticamente insufficienti rispetto ai bisogni reali della popolazione. La gestione degli aiuti è ora affidata alla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione creata direttamente da Israele che controlla ogni aspetto della distribuzione alimentare nella Striscia.

Le difficoltà umanitarie della Striscia di Gaza

La GHF è oggetto di aspre critiche da parte delle organizzazioni umanitarie internazionali, che la accusano di essere uno strumento nelle mani di Israele per utilizzare la fame come arma contro la popolazione palestinese. Secondo i rapporti delle ONG presenti sul campo, la fondazione opera con criteri selettivi e spesso arbitrari, limitando l’accesso agli aiuti e creando disparità nella distribuzione che alimentano tensioni sociali all’interno della comunità palestinese.

La situazione è ulteriormente aggravata dagli episodi di violenza che si verificano regolarmente attorno ai centri di distribuzione del cibo gestiti dall’organizzazione. Questi incidenti, attribuiti all’esercito israeliano dalle organizzazioni umanitarie, includono raid notturni, perquisizioni aggressive e l’uso di forza eccessiva contro i civili in coda per ricevere aiuti alimentari. Tali azioni hanno trasformato i centri di distribuzione in luoghi di paura piuttosto che in punti di soccorso per la popolazione affamata.

Una storia di tensioni e violenze

Non è la prima volta che la Freedom Flotilla Coalition tenta di forzare il blocco su Gaza e ogni tentativo ha incontrato una risposta sempre più dura da parte delle autorità israeliane. A maggio scorso, una nave dell’organizzazione era stata attaccata al largo di Malta da un drone di origine non ufficialmente identificata anche se l’ONG aveva immediatamente accusato Israele dell’attacco, sostenendo che si trattasse di un’escalation preoccupante nell’uso della violenza contro le missioni umanitarie.

L’attacco al largo di Malta aveva rappresentato una novità tattica importante, dimostrando la capacità e la volontà israeliana di colpire le flottiglie umanitarie anche molto lontano dalle proprie acque territoriali. L’episodio aveva sollevato interrogativi importanti sulla legalità di tali azioni secondo il diritto internazionale e aveva portato a richieste di chiarimenti da parte dell’Unione Europea.

Il precedente più grave e tragico risale però al 2010, quando l’esercito israeliano bloccò un’altra missione umanitaria al largo delle coste di Gaza in quello che è passato alla storia come l’incidente della Mavi Marmara. Durante l’abbordaggio della nave turca, che trasportava 600 persone provenienti da 37 Paesi diversi, si verificarono violenti scontri quando alcuni passeggeri tentarono di resistere all’operazione militare israeliana.

Bambini feriti nella braccia di genitori disperati

In quell’occasione persero la vita 10 persone, tutte di nazionalità turca, mentre molte altre rimasero ferite. L’incidente provocò una grave crisi diplomatica tra Israele e Turchia, che durò diversi anni e portò al deterioramento delle relazioni bilaterali. La comunità internazionale condannò duramente l’operato di Israele, che mantenne la sua posizione, sostenendo che l’operazione fosse necessaria per la sicurezza nazionale.

L’episodio della Mavi Marmara segnò uno dei momenti più drammatici della questione del blocco navale di Gaza e rappresentò un punto di svolta nelle relazioni tra Israele e il movimento internazionale di solidarietà con la Palestina. Da allora, le autorità israeliane hanno visto con estremo sospetto ogni tentativo di raggiungere Gaza via mare, sviluppando protocolli sempre più rigidi per intercettare e fermare le imbarcazioni umanitarie.

L’obiettivo dichiarato della missione della Madleen era quello di fare pressione sul governo israeliano per riprendere una distribuzione adeguata di cibo alla popolazione della Striscia di Gaza, dove la situazione umanitaria rimane critica e dove, secondo le stime delle Nazioni Unite, oltre l’80% della popolazione dipende dagli aiuti internazionali per sopravvivere.

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