Casal di Principe, 31 anni senza Don Peppe Diana: il prete che sfidò la Camorra

Il 19 marzo 1994 il sacerdote, diventato un simbolo della resistenza contro la criminalità organizzata, venne assassinato con cinque colpi di pistola dai killer dei clan.

Casal di Principe (Caserta) – Sono passati 31 anni da quel 19 marzo 1994, quando Don Giuseppe Diana, per tutti “Don Peppe”, fu assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Cinque colpi di pistola – due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo – sparati da un killer della Camorra, misero fine alla vita di un prete di 36 anni che aveva osato sfidare il dominio dei Casalesi con la sola arma della parola e della fede. Oggi, nel 31esimo anniversario della sua morte, la sua città lo ricorda non solo come vittima, ma come simbolo di resistenza e riscatto contro la criminalità organizzata.

Don Peppe non era un prete qualunque. Nato a Casal di Principe nel 1958, aveva scelto di restare nella sua terra, un feudo dei Casalesi dove la Camorra dettava legge tra racket, traffico di droga e omicidi. Parroco dal 1989, aveva trasformato la sua missione in un grido di denuncia. Celebre il suo documento “Per amore del mio popolo”, scritto a Natale 1991 con altri sacerdoti: un appello alla Chiesa e ai cittadini per dire “no” alla criminalità e “sì” alla giustizia. “La Camorra è un cancro che va estirpato”, ripeteva, consapevole dei rischi. Quel 19 marzo, giorno del suo onomastico, due sicari entrarono in chiesa mentre si preparava alla messa. “Chi è Peppe Diana?”, chiesero. “Sono io”, rispose. Poi il silenzio, rotto dagli spari.

L’omicidio, ordinato dal boss Nunzio De Falco per punire la sua ostinazione, fu un messaggio chiaro: nessuno doveva intralciare gli affari del clan. Ma invece di zittire la sua voce, la Camorra la amplificò, trasformando Don Peppe in un martire della legalità. Oggi Casal di Principe si è fermata per ricordarlo. Alle 7.30, l’ora dell’omicidio, una messa solenne nella chiesa di San Nicola ha aperto le celebrazioni, presieduta dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Centinaia di persone – cittadini, studenti, autorità – hanno riempito la navata, tra corone di fiori e striscioni con le sue parole: “Non c’è bisogno di eroi, ma di gente che fa il proprio dovere”. Nel pomeriggio, un corteo ha attraversato le vie del paese fino al cimitero, dove Don Peppe riposa, accompagnato da associazioni come Libera e dal Comitato Don Peppe Diana, nato per tenere viva la sua eredità.

E proprio dal giardino esterno di Casa don Diana, bene confiscato divenuto da qualche anno sede del Comitato che porta il nome del prete anticlan e punto di riferimento delle tante iniziative sulla legalità, don Ciotti fondatore di Libera ha esortato i tanti giovani presenti alla celebrazione a “rileggere la realtà grazie al messaggio di don Peppe, e a rendersi così protagonisti di uno scatto di attenzione e partecipazione, che ora più che mai serve tanto all’Italia quanto all’Europa. Le mafie sopravvivono e continuano a reclutare sempre più giovani, perciò don Peppe parlava a loro, chiedendo di essere parte attiva della comunità e di ribellarsi al potere camorristico, a non farsi sedurre da messaggi accattivanti ma ascoltare gli educatori, che sono quelli che vi vogliono un sacco di bene”.

“Trentuno anni dopo, il suo sacrificio è un faro”, ha dichiarato Augusto Di Meo, amico di Don Peppe e testimone oculare dell’omicidio, da sempre impegnato contro la Camorra. “Non è morto invano: qui qualcosa è cambiato”. Presenti anche il sindaco Renato Natale, che nel 1994 guidò la prima ribellione civile al clan, e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, che ha ricordato: “Don Peppe ci insegna che la lotta alla mafia è un dovere di tutti”.

Da quel giorno, Casal di Principe non è più la stessa. La morte di Don Peppe ha scosso le coscienze, aprendo la strada a processi che hanno decimato i Casalesi – da Francesco Schiavone “Sandokan” a Giuseppe Setola – e a progetti di riscatto. Beni confiscati ai boss sono diventati centri sociali, cooperative e scuole, come la “Casa Don Diana”, un simbolo di rinascita. “La Camorra non ha più il controllo totale di un tempo”, ha sottolineato Valerio Taglione, coordinatore del Comitato. “Ma la strada è ancora lunga: la mentalità mafiosa resiste”.

Il 31esimo anniversario arriva in un momento di riflessione. Sebbene i grandi capi siano in carcere, la criminalità si è evoluta, infiltrandosi nell’economia legale. “Don Peppe ci direbbe di non abbassare la guardia”, ha aggiunto Di Meo. Intanto, la sua storia ispira libri, film – come “La nostra terra” – e generazioni di giovani che ogni anno, il 19 marzo, marciano per dire no alla mafia. A 31 anni dall’omicidio, Don Peppe Diana resta un’icona. La sua tomba, meta di pellegrinaggi, è coperta di messaggi: “Grazie per il tuo coraggio”. La sua sfida, pagata con la vita, ha lasciato un segno indelebile, dimostrando che anche in una terra martoriata si può scegliere da che parte stare. Casal di Principe, un tempo sinonimo di Camorra, oggi porta anche il suo nome: quello di un prete che non si è piegato e che, con il suo sangue, ha scritto una pagina di speranza.

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