Ex Ilva: conto alla rovescia per la vendita, alla Camera il ddl sul controllo ambientale

Non è escluso che i Commissari straordinari possano aver bisogno di qualche giorno in più per segnalare al governo la scelta del miglior offerente.

Roma – Il tempo dell’attesa è quasi finito per l’ex Ilva. Il conto alla rovescia è iniziato e c’è attesa sulla scelta dell’acquirente. Ma, a quanto si apprende, non è escluso che i Commissari straordinari potrebbero aver bisogno di qualche giorno in più per segnalare al governo la scelta del miglior offerente, con cui far partire poi la trattativa in esclusiva. Non solo, proprio oggi approda alla Camera il disegno di legge di conversione del D.L. 3/2025, che introduce misure urgenti per garantire la continuità produttiva e occupazionale degli impianti ex Ilva, affrontando al contempo le questioni ambientali connesse. Il fulcro del provvedimento riguarda il sostegno economico all’amministrazione straordinaria delle Acciaierie d’Italia S.p.A., ex Ilva.

L’articolo 1 stabilisce la possibilità di incrementare le risorse destinate all’azienda fino a 400 milioni di euro, utilizzando il patrimonio destinato riveniente dalla sottoscrizione delle obbligazioni emesse da Ilva in amministrazione straordinaria. Uno degli aspetti centrali del decreto è il rafforzamento del controllo ambientale sugli stabilimenti di interesse strategico nazionale, tra cui rientra l’ex Ilva. L’articolo 1-bis e l’articolo 1-ter modificano la disciplina sulla valutazione del danno sanitario (VDS) per questi impianti, stabilendo l’aggiornamento ogni sette anni dei criteri metodologici per il rapporto di VDS; un primo aggiornamento entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge; l’integrazione della valutazione sanitaria nel procedimento di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), in conformità alla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 25 giugno 2024.

Inoltre, il gestore dello stabilimento sarà tenuto a fornire il rapporto di VDS aggiornato o, in attesa di nuovi criteri metodologici, uno studio di valutazione dell’impatto sanitario (VIS). Questo rappresenta una novità rilevante, mirata a garantire un controllo più stringente sulle emissioni industriali e sugli effetti sulla salute pubblica. In questi giorni la Corte di Cassazione ha stabilito che abitanti del Quartiere Tamburi dovranno essere risarciti dal direttore dello stabilimento ex Ilva di Taranto per l’emissione delle polveri di carbone che hanno impedito ai cittadini di vivere pienamente degli immobili. La Corte ha confermato così la condanna al risarcimento sottolineando che, come responsabile degli impianti, aveva una posizione di garanzia e poteva intervenire con delle soluzioni per impedire la diffusione delle polveri che, dall’autunno 2009 al luglio 2012 avevano superato i limiti consentiti per 35 volte l’anno.

Nel frattempo prosegue la trattativa di vendita: sarebbe ancora in corso, infatti, il confronto tra Baku e Jindal circa la possibilità di entrare in tandem nel capitale delle acciaierie. Come e in che termini, tuttavia, non è chiaro: alcune indiscrezioni di stampa parlano di una partnership con gli azeri in maggioranza ma il controllo operativo (e la scelta dell’amministratore delegato) in mano agli indiani, mentre altre fonti vicine al dossier riferiscono all’AdnKronos di un assetto societario ”ancora incerto”, su cui quindi si continua a cercare la quadra.

C’è poi la questione della partecipazione di Invitalia. Si tratterebbe, in caso, di una presenza largamente minoritaria, da predisporre tramite emendamento o decreto, su cui il ministero dell’Economia starebbe lavorando. Sul tavolo le offerte per l’acquisto dell’intero complesso degli stabilimenti dell’ex Ilva presentate dai tre colossi nella produzione dell’acciaio: la società dell’Azerbaijan Baku Steel Company, l’indiana Jindal e Bedrock Industries che fa capo ad un fondo statunitense. Le prime due, al momento, sarebbero quelle ritenute più accreditate per investimenti proposti, garanzie occupazionali e piano di sostenibilità. Con Baku in pole position. Ma valutazioni diverse sono sempre possibili. Perderebbe quota, a quanto si apprende, l’ipotesi della cordata mista Baku-Jindal, che presenterebbe criticità operative.

Il governo sta lavorando alla norma che permetterebbe il mantenimento della partecipazione pubblica in quota di minoranza nella nuova compagine societaria, una richiesta questa sostenuta dai sindacati che vedono nel coinvolgimento dello Stato una garanzia per l’occupazione e il processo di decarbonizzazione. Si tratterebbe di una partecipazione molto inferiore al 38% che Invitalia detiene in Acciaierie. Ma anche questo passaggio dipenderà dall’offerta che sarà selezionata. In ogni caso, restano ferme le tempistiche delineate dal ministero delle Imprese e del Made in Italy. Nel corso dell’ultimo incontro con i sindacati lo scorso 11 marzo a Palazzo Chigi, il ministro Adolfo Urso aveva confermato che entro la metà del mese sarebbero state
valutate le proposte e aperto il negoziato in esclusiva con il soggetto ritenuto migliore, per far partire poi la procedura Antitrust ed esercitare il golden power come strumento di presidio e salvaguardia dell’azienda.

Gli obiettivi strategici dell’operazione – avevano ribadito fonti di governo al termine della riunione a Chigi – sono la ‘‘massima occupazione lavorativa possibile” sia per gli impianti che per l’indotto, e la ”piena decarbonizzazione della produzione”. In totale gli occupati delle acciaierie sono circa 10mila (di cui oltre
8mila a Taranto);
attualmente, dopo l’accordo raggiunto poche settimane fa tra ministero del Lavoro e sindacati, 3200 sono in cassa integrazione. Nel primissimo giro di offerte, il piano proposto da Jindal ipotizzava una sforbiciata dei dipendenti più ampia, secondo le ricostruzioni, rispetto a quella di Baku. Poi però la multinazionale indiana aveva rialzato la posta da 2 a 4 miliardi, aumentando il numero di occupati da tenere negli impianti e avvicinandosi ai competitori.

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