Nel nostro Paese nel biennio 2022-23 sono stati 430mila i pazienti ricoverati che hanno contratto un’infezione durante la degenza.
Roma – Italia maglia nera in Europa per decessi da batteri resistenti ai farmaci. I morti causati nel nostro Paese da infezioni ospedaliere resistenti agli antimicrobici sono circa 12mila all’anno, un terzo di tutti i decessi che si verificano in ospedale. Nel biennio 2022-23 sono infatti 430mila i ricoverati che hanno contratto una infezione durante la degenza, l’8,2% del totale dei pazienti, contro una media Ue del 6,5%. Lo indica l’ultimo rapporto di sorveglianza dell’Ecdc – Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie presentato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in occasione della Giornata europea per la lotta all’antibiotico-resistenza che apre la Settimana mondiale per il consumo consapevole di questi farmaci, organizzata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
La diffusione dei batteri resistenti agli antimicrobici è infatti indicata dall’Oms come una delle grandi emergenze sanitarie, che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo. E in Italia, già maglia nera in rapporto ai decessi, desta preoccupazione la ripresa, a partire dal 2022, del consumo di questi farmaci. In lieve costante crescita, ormai da 10 anni, il consumo degli antibatterici a prevalente uso ospedaliero. In Italia continua a crescere il consumo di antibiotici, farmaci che favoriscono il proliferare di batteri resistenti alle cure. Nel nostro Paese nel biennio 2022-23 sono stati 430mila le persone ricoverate in ospedale che hanno contratto un’infezione durante la degenza, l’8,2% del totale dei pazienti contro una media Ue del 6,5%.
L’utilizzo è infatti aumentato del 6,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno infatti, quasi 4 persone su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con livelli più elevati al Sud, dove il 44,8% della popolazione ne ha assunto almeno uno in corso d’anno, contro il 30,9% del Nord e il 39,9% del Sud. Differenze che fanno riflettere anche sull’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi. Peggio di noi con l’8,9% fa solo il Portogallo, che però ha una popolazione più giovane della nostra e quindi meno suscettibile. Ma siamo in fondo alla classifica anche per l’uso di antibiotici, somministrati al 44,7% dei degenti contro una media europea del 33,7%. E così il cane si morde la coda, perché l’uso tanto massiccio di antimicrobici fa nascere superbatteri resistenti agli stessi farmaci.
“Così il cane si morde la coda, perché l’uso così massiccio di antimicrobici fa nascere super-batteri resistenti agli stessi farmaci”, aggiunge l’Aifa. L’antibiotico-resistenza ha inoltre un impatto enorme sul servizio sanitario. Secondo il rapporto Ecdc, circa 2,7 milioni di posti letto sono occupati proprio a causa di queste infezioni, con un costo che arriva a 2,4 miliardi di euro l’anno. Tra i microbi più diffusi c’è la Klebsiella, che infetta le vie urinarie con una mortalità che arriva alla metà dei casi, lo Pseudomonas che provoca infezioni osteoarticolari con mortalità al 70%, l’Escherichia coli che causa diarrea anche sanguinolenta, il Clostridium difficile che prolifera nell’intestino con una mortalità a 30 giorni che si avvicina al 30%.
Certo, i microbi in ospedale non è possibile azzerarli, perché parliamo di un ambiente chiuso dove vivono a stretto contatto pazienti che virus e batteri se li portano anche da fuori. Ma secondo la Simit, la Società malattie infettive e tropicali, “L’impatto di queste infezioni potrebbe essere ridotto di un buon 30% inaugurando un percorso virtuoso”. Molto c’è ancora da fare, sottolinea il report, nella prevenzione delle infezioni in ambito ospedaliero, perché non pochi casi sono dovuti alle infezioni alle vie urinarie, magari perché la pulizia dei cateteri lascia a desiderare, così come la cura delle ferite chirurgiche. Ma a volte a veicolare i microbi sono i mal tenuti sistemi di areazione dei nostri nosocomi, che hanno oramai un’età media di settant’anni.
A incidere è anche il modo con cui si sanificano gli ambienti ospedalieri. Secondo il report, circa un’infezione su tre si sarebbe potuta evitare con un po’ più di pulizia e di prevenzione: questo significa che tra le 135 e le 210mila infezioni sono frutto in qualche modo di mancati accorgimenti igienici, che possono avere a volte conseguenze letali, visto che mediamente l’1% di questi casi evitabili causa un decesso. Come dire che duemila pazienti ogni anno muoiono per infezioni evitabili.