Lo ha annunciato monsignor Rino Fisichella, che ha così rilanciato un appello ai governanti per forme di “amnistia” e condono.
Roma – La vicinanza di Papa Francesco agli ultimi e ai detenuti è già nota da tempo. Ma vuole lasciare un segno tangibile di questo suo impegno. Il giorno dopo l’avvio ufficiale del Giubileo, il 26 dicembre, il Pontefice “sarà nel carcere romano di Rebibbia per aprire anche in quel luogo la Porta Santa”. Lo ha annunciato monsignor Rino Fisichella, che non solo ha rilanciato un appello ai governanti per forme di “amnistia” ma ha anche fatto sapere che l’11 settembre “abbiamo firmato una intesa con il ministro di Giustizia Carlo Nordio e il commissario governativo, il sindaco Roberto Gualtieri, per rendere effettive durante il Giubileo forme di reinserimento in attività di impegno sociale” dei detenuti.
Monsignor Fisichella ha ricordato l’auspicio espresso dal Papa per i detenuti nella nella Bolla d’Indizione del Giubileo, Spes non confundit: “‘Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi’”.
“Dobbiamo lavorare perché i detenuti siano in condizioni di dignità”, aveva chiesto il Papa, salutando, al termine di uno degli ultimi Angelus, i partecipanti alla marcia di sensibilizzazione sulle condizioni dei detenuti. “Ognuno può sbagliare”, ha affermato Francesco, secondo il quale “essere detenuto è per riprendere una vita onesta dopo”. Immagine iconica di questa vicinanza del Pontefice al mondo dietro le sbarre, quella nella Casa circondariale femminile di Rebibbia, reparto femminile, dove per il rito della Lavanda dei piedi, la scorsa Pasqua, il Santo Padre ha effettuato il gesto che Gesù fece con i suoi discepoli nell’ultima cena. Lavare e baciare i piedi delle detenute.
Il Papa è stato accolto dalla direttrice Nadia Fontana: al suo ingresso in sedia a rotelle nel cortile antistante la casa di detenzione ed è stato salutato dall’applauso del personale e quindi delle detenute, cui si è subito diretto a stringere le mani. “Non siamo materiale di scarto”, aveva detto il Papa nel suo discorso durante un’altra visita a maggio nel carcere veronese di Montorio, spronando tutti a non perdere di vista la “porta della speranza”, perché “non c’è vita umana senza orizzonte”. Ricambiando i doni ricevuti dai detenuti – una scatola di pensieri e la rappresentazione visiva di questi in un murales – Francesco ha consegnato loro un’immagine della Madonna con Bambino, “immagine di tenerezza”, “figura comune sia al cristianesimo, sia ai musulmani”.
Nelle riflessioni del Papa, da sempre vicino alla realtà delle carceri che, nel corso del suo pontificato, ha visitato oltre quindici volte, c’è in primo piano il dramma del sovraffollamento con le tensioni e fatiche che ne conseguono: “Voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria”.