Dopo la violenta rivolta di un mese fa il reparto è inagibile. Fns Cisl Lazio: “Uno spostamento di una coperta comunque sempre troppo corta”.
Roma – Esattamente un mese fa una violenta rivolta tra i detenuti, scoppiata nella VIII sezione del carcere di Regina Coeli, finì con un incendio che ha reso la permanenza all’interno del reparto ancora più difficile. Da lì la chiusura dell’intera area e il trasferimento di un centinaio di detenuti, solo una parte degli oltre 500 che pesano sul sovraffollamento ormai cronico. “Di fatto uno spostamento di una coperta comunque sempre troppo corta – spiega all’Adnkronos Massimo Costantino, della Fns Cisl Lazio – Stessa cosa è avvenuta in un piano del Reparto D dell’istituto di Velletri dopo gli incendi del 28 luglio, dal quale sono stati trasferiti circa 60 detenuti”.
“Attualmente il sovraffollamento risulta essere di 1.567 detenuti – continua il sindacalista – considerato che le persone recluse negli Istituti del Lazio sono 6.845, secondo il dato pubblicato sul sito del ministero della Giustizia, al 30 settembre scorso, rispetto a una capienza regolamentare prevista in 5.278 detenuti. Preoccupa anche il sovraffollamento negli istituti di Frosinone (+100), Latina (+50), Rieti NC (+217), Civitavecchia NC (+188), Rebibbia Femminile (+96), Rebibbia NC (+402), Regina Coeli (+541), Velletri (+107), Viterbo (+256). Tra le tante criticità spicca la situazione della VI sezione nel carcere di Frosinone: completamente priva di energia elettrica, nel corridoio mancano i vetri alle finestre e sono già state chiuse 11 stanze, perché manca anche l’acqua”.
A Viterbo, invece, ci segnalano locali – videoconferenze del Reparto Massima Sicurezza dove risulta esserci la fuoriuscita di liquidi dallo scarico del Reparto, con odori nauseabondi e umidità sulle pareti”. “Puntualmente la Fns Cisl Lazio segnala le criticità alle autorità competenti – spiega Costantino – dopo aver effettuato le visite sui luoghi di lavoro al fine di risolvere le varie problematiche. I carichi di lavoro eccessivi sono dovuti alla cronica carenza di personale, seppur vi siano stati incrementi di personale che, purtroppo, non hanno permesso il ricambio generazionale da tutti auspicato. Complessivamente mancano circa 800 unità, siamo la regione dove si registra una carenza cosi grave, rispetto alla pianta organica prevista del personale di Polizia Penitenziaria nella Regione Lazio”.
I detenuti “si ritrovano in celle sovraffollate, sorvegliate da un singolo agente – conclude – e più delle volte a gestire situazioni complesse. Necessario intervenire sulla gestione dei detenuti con problemi psichiatrici da parte della polizia penitenziaria e sulle criticità che riguardano le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems)”. A rendere noto l’episodio dei disordini di un mese fa a Regina Coeli, era stata la Uilpa polizia penitenziaria. Erano state fatte esplodere alcune bombolette dei fornelli da campeggio comunemente in uso per cucinare e preparare vivande con la “vandalizzazione degli ambienti”, aveva affermato il segretario generale Gennarino De Fazio.
“Non ci sarebbero stati scontri fisici. Un agente sarebbe stato colpito da un leggero malore, probabilmente per l’inalazione di fumi sprigionati dagli incendi appiccati dai detenuti, mentre non ci sarebbero feriti o contusi. Ingenti i danni all’ottava sezione, di cui si porrebbe in forte dubbio l’agibilità. È di ogni evidenza che non si possa continuare così e che servano interventi urgenti dal governo per deflazionare la densità detentiva, potenziare la Polizia penitenziaria, garantire l’assistenza sanitaria e psichiatrica, nonché per reingegnerizzare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e riorganizzare il Corpo di polizia penitenziaria”, aveva sottolineato il segretario generale della Uilpa. E oggi la notizia della chiusura del reparto.
Per il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Lazio, Stefano Anastasìa, “L’immagine dell’VIII sezione di Regina Coeli in fiamme è la metafora di un sistema penitenziario privo di bussola: morti, proteste e devastazioni sono all’ordine del giorno. Così non si può continuare. Bisogna riaprire le porte alla speranza che sola garantisce una serena convivenza in carcere. Ridurre la popolazione detenuta e offrirle migliori opportunità di assistenza, formazione e reinserimento sociale. Tutto il contrario dell’illusione repressiva contenuta nel ddl sicurezza che prevede come reato anche la disobbedienza nonviolenta”.
“Il problema è di carattere generale – ha proseguito Anastasìa – di un sistema che ha perso la bussola, in cui i detenuti evidentemente non hanno più fiducia rispetto ai loro percorsi detentivi, al fatto che, partecipando all’offerta rieducativa, possano avere una prospettiva di reinserimento. Qualsiasi occasione anche futile porta subito quindi alla protesta, ai danneggiamenti, agli incendi, ai materassi bruciati. Che poi finisce per essere l’unico modo con cui fuori dal carcere ci si accorge che ci sono anche quelli in carcere”.