“Non so ancora perché mio fratello è morto”: il calvario di una donna che da un anno e mezzo attende risposta

Carlo Santamaria, 68 anni, è spirato nell’ospedale di Chivasso dopo 8 mesi di ricovero. L’autopsia non ha chiarito le cause del decesso e da allora la famiglia aspetta di conoscere la verità.

Torino – Carlo Santamaria aveva quasi 68 anni, abitava a Castagneto Po ed era in pensione dal 2019 dopo una vita trascorsa come impiegato presso l’Iveco di Torino. Era una persona solare, altruista e impegnata nel sociale, tanto da essere volontario della Croce Verde e parte di un progetto benefico in Nepal, dove, con un gruppo di amici, aveva contribuito alla costruzione di una scuola.

Ma il 28 maggio 2023, alla vigilia del suo compleanno, all’improvviso è morto dopo 8 mesi di ricovero nell’ospedale di Chivasso. E da allora per la famiglia è iniziato un incubo. Oltre a fronteggiare il dolore per la scomparsa di Carlo, uomo benvoluto da tutti, i suoi congiunti non hanno mai saputo cosa avesse provocato la sua morte.

Le cause del decesso non sono state mai chiarite. L’autopsia non ha fornito risposta. E dopo 18 mesi, la verità sembra ancora una chimera, nonostante la sorella Paola abbia cercato più volte di senza spiegazioni, interpellando anche un legale. Lettere, pec e richieste di incontri per non avere, dopo un anno e mezzo, ancora niente in mano. Da qui la decisione di scrivere una lettera aperta al giornale La Voce, che l’ha pubblicata integralmente e di cui riprendiamo il testo.

Carlo Santamaria

“Mio fratello Carlo è deceduto il 28 maggio 2023, dopo otto mesi di ricovero ospedaliero, intervallato da brevi periodi in struttura riabilitativa. Otto mesi allettato, di pura sofferenza, durante i quali è stato sottoposto ad una serie infinita di esami diagnostici che purtroppo non sono serviti a determinare la natura della lesione cerebrale che lo aveva colpito e di conseguenza, non essendoci una diagnosi certa, a ricevere le giuste terapie. I medici del reparto Neurologia dell’ospedale di Chivasso presso cui ha trascorso quasi sei mesi di degenza hanno richiesto che venisse effettuata l’autopsia per chiarire ciò che in vita non era stato possibile.

Ho atteso nove mesi la copia del referto che mi è stata consegnata a inizio marzo 2024. Ho chiesto ripetutamente chiarimenti al responsabile del reparto Neurologia di Chivasso, senza ottenere risposta – In particolare per capire il significato della frase ‘…eseguite reazioni immunoistochimiche con anticorpi…non completamente valutabili per la qualità del materiale in esame…possibile lymphomatosis cerebri’.

Non comprendendo il motivo di tale silenzio, mi sono rivolta ad un legale che ha inviato una prima richiesta tramite pec ai medici coinvolti. Finalmente sono stata contattata dal responsabile della Neurologia di Chivasso che, adducendo importanti motivi di famiglia, si scusava per essersi dimenticato di rispondere e mi convocava presso il suo studio.

Premettendo e ribadendo più volte che l’incontro non avrebbe assolutamente sostituito la risposta scritta che lui e i suoi colleghi avrebbero redatto congiuntamente e inviato a me tramite l’avvocato, il medico non ha saputo spiegare il motivo per cui ‘la qualità del materiale in esame’ non fosse adeguata, dichiarando che lui stesso aveva considerato l’espressione ‘infelice’ e rimbalzando la responsabilità della spiegazione agli anatomopatologi firmatari del referto.

Di fatto l’autopsia non aveva chiarito i dubbi diagnostici neppure a lui e alla sua equipe. Dopo un mese dall’incontro, non avendo ricevuto alcuna risposta scritta, il 30 maggio scorso è stato inviato un sollecito da parte del legale, rimasto anche questo inevaso. Continuo a non capire perché, se non c’è nulla da nascondere, non sia stata formulata una risposta.

Ritengo sia un mio diritto conoscere la diagnosi della malattia che ha colpito mio fratello e non mi darò pace fino a quando non lo scoprirò. Vorrei continuare a poter riporre fiducia nei medici della strutture pubbliche ma, perché ciò avvenga, servono risposte sincere.”

Non un caso di malasanità, dunque, ma di incapacità di comunicare e di trascuratezza da parte dei medici del nosocomio, che così facendo non stanno rendendo un buon servizio né onorando la memoria di un uomo buono e altruista, che aveva fatto della solidarietà la sua missione ed era “un esempio di integrità e dedizione verso gli altri”.

La lettera è stata pubblicata dal giornale online, voce dell’hinterland torinese, nella speranza che stavolta per Carlo ci sia finalmente “chiarezza e giustizia”.

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