Il ministro per lo Sport parla di un “punto di non ritorno” e annuncia che ci saranno misure. Le curve del calcio italiano sono avvertite.
Milano – Mentre nel carcere di San Vittore gli ultrà di Milan e Inter arrestati due giorni fa nel maxi blitz della Dda, condotto da Polizia e Gdf, non rispondono all’interrogatorio del pm, il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, nel corso di “Non Stop News” su RTL 102.5 parla di “un punto di non ritorno” e annuncia che “procederà con le giuste misure”. Perché quello che è emerso “ormai in modo clamoroso, è che lo stadio è frequentato da soggetti che non hanno nulla a che fare con il calcio e con la passione per la propria squadra”. L’inchiesta ha infatti svelato gli affari illeciti, dal bagarinaggio sui biglietti fino alle estorsioni su parcheggi e catering a San Siro, ma anche le violenze e un patto tra le due curve, la Nord e la Sud, in nome dei business illegali.
“Sottovalutare questi casi e voltarsi dall’altra parte non fa mai comodo. Tradisce la memoria di persone che, per non voltarsi dall’altra parte, hanno perso la vita per la nostra sicurezza e la legalità. Siamo a livello criminale, – dice Abodi – ci troviamo dunque di fronte a una questione di criminalità e questi fattori vanno affrontati con fermezza, valori, principi, e con la coerenza e la continuità nel tempo”. Poi il ministro parla dei club che “devono considerare due aspetti: le indagini dimostreranno se hanno avuto responsabilità o meno, ma anche i club che non sono coinvolti possono dimostrare coerenza con i principi che auspichiamo, utilizzando lo strumento del non gradimento, già adottato da due società”.
E ciò, dice Abodi, “consente di non accettare che certi personaggi che hanno subito condanne entrino negli stadi, in questo modo si rompe definitivamente la relazione che un delinquente possa essere un tifoso. Questa vicenda deve essere un monito per tutte le società: non basta dichiarare la propria estraneità, bisogna dimostrarlo. Il primo passo per farlo? Secondo me, prima di tutto bisogna richiamare alla responsabilità i tesserati. Sono tutti professionisti, e non hanno solo doveri in campo, ma anche verso il mondo esterno. Devono avere solo comportamenti esemplari e non intrattenere rapporti con persone dalle caratteristiche moralmente discutibili“.
E ancora, “serve maggiore informazione interna e responsabilizzazione. La ‘Carta dei doveri’ è rimasta ancora sul mio tavolo, va ripresa e promossa. E va sottoscritta da tutti i tesserati che devono sapere non solo che certi comportamenti non devono essere tenuti e che certe relazioni non devono essere sviluppate ma anche altre questioni che riguardano il calcio, penso alle scommesse illecite, ai pagamenti in nero, tutti comportamenti non rispondenti alle norme. I contratti dei professionisti forse su questi aspetti qui sono un po’ sfumati, vanno evidenziati in maniera più marcata quelli che sono i doveri dei professionisti”, ha concluso.
Intanto a San Vittore agli interrogatori degli ultras arrestati nessuno ha risposto. Il primo a comparire, davanti al gip di Milano Domenico Santoro, è stato Luca Lucci, detto “il toro”, capo degli ultras milanisti, e poi alla presenza anche dei pm Paolo Storari e Sara Ombra, hanno taciuto anche Riccardo Bonissi e Luciano Romano, pure loro accusati di far parte dell’associazione per delinquere capeggiata da Lucci. Poi, Andrea Beretta, che era nel direttivo della Nord interista con Marco Ferdico e Antonio Bellocco e già in carcere da quasi un mese per l’omicidio proprio di Bellocco, erede dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. Bellocco che, stando alle dichiarazioni di Beretta, voleva ucciderlo e puntava ad ottenere sempre maggiori guadagni nella spartizione dei soldi illeciti.
“Con la società c’era un rapporto trasparente. Nessuno ha mai fatto pressioni e minacce. Quando c’era bisogno di più biglietti li chiedevamo, quando c’era da organizzare trasferte ci rivolgevamo a loro”, ha fatto sapere ieri dal carcere Beretta, attraverso l’avvocato Mirko Perlino. Nel pomeriggio, infine, si terranno nelle carceri di Pavia e Monza gli interrogatori di altri quattro arrestati. Interrogatori che proseguiranno anche domani. Diciannove le misure cautelari eseguite, 16 in carcere e tre ai domiciliari. Ieri sono trapelate novità nell’inchiesta che entra a gamba tesa nel mondo delle curve.
Oltre ai nomi dei capi ultrà di entrambe le tifoserie, di un bodyguard del rapper Fedez e del consigliere regionale lombardo del centrodestra Manfredi Palmeri, quest’ultimo con l’accusa di corruzione, tra i coinvolti nell’inchiesta spuntano anche quelli dei fratelli Aldo e Mauro Russo: il primo cognato dell’ex capitano del Milan (e bandiera rossonera) Paolo Maldini, il secondo socio in affari dello stesso Maldini e di Christian Vieri, ex bomber dell’Inter. Mauro Russo, secondo quanto si apprende, è indagato, il fratello Aldo no, ma entrambi sono stati perquisiti.
La Procura di Milano, spiega la Gazzetta dello Sport, ha fatto sapere che non ci sono indagati tra Inter e Milan a margine dell’inchiesta che ha portato all’arresto dei 19 capi ultras nerazzurri e rossoneri. Nonostante questo gli inquirenti vogliono far luce sulla vicenda anche lato club per capire se effettivamente i legami emersi dalle intercettazioni tra alcuni tesserati e il tifo organizzato, irregolari secondo la giustizia sportiva, siano stati frutto del caso oppure rientrino nell’alveo dell’intimidimento da parte della Curva.
Il rischio peggiore, secondo la rosea, è lo spettro di essere sottoposti ad amministrazione giudiziaria, una sorta di commissariamento controllato delle due società. Per evitare questo e altri rischi, infatti, sia Inter che Milan si sono subito rese disponibili per collaborare con gli inquirenti. I problemi più grandi sarebbero per l’Inter perché, citando i pm: “sono emerse “alcune carenze organizzative dell’Inter nella gestione dei rapporti con la tifoseria”.