Ex Ilva, sentenza annullata: i motivi di “incompetenza”, i giudici erano parti civili

Ecco perché la Corte d’Appello di Taranto ha deciso di ripartire da zero e trasferire il processo ‘Ambiente
Svenduto’ a Potenza.

Roma – Il 13 settembre era caduta come una tegola la notizia che sui presunti disastri ambientali dell’ex Ilva era tutto da rifare e che il processo sarebbe ripartito da zero e da Potenza. La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello leccese aveva infatti annullato la sentenza di primo grado del processo “Ambiente Svenduto” a carico di 37 imputati e tre società per quanto accaduto negli anni di gestione dei Riva. I motivi di una decisione che ha scosso tutti e mobilitato le associazioni ambientali e a tutela dei parenti delle vittime, sono stati resi noti. In base all’ex articolo 11 del Codice di procedura penale, è sorta una “questione d’incompetenza”, sollevata dalle difese di alcuni imputati, che “trova la sua causa nella circostanza che due delle parti civili costituitesi nel processo avevano svolto le funzioni di giudice di pace e una terza quelle di esperto della sezione agraria del Tribunale di Taranto”.

Di conseguenza, scrive la Corte d’Appello, presidente Antonio Del Coco, “la sentenza di primo grado va annullata per tutti gli imputati e gli atti vanno trasmessi, per competenza, al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza per le determinazioni di sua spettanza”. Nel presente caso – argomenta la Corte d’Appello – l’incompetenza ex articolo 11 del codice di procedura penale “avrebbe dovuto rilevarsi sin dalla fase di celebrazione dell’udienza preliminare”. Adesso a Potenza si ripartirà dall’udienza preliminare. Tutto ruota sulla costituzione tra le parti civili del processo di due magistrati onorari, Martino Giacovelli e Alberto Cassetta. “La Corte d’Assise – scrivono i giudici di secondo grado – ha attribuito rilievo alla circostanza secondo la quale il dottor Giacovelli, al momento della costituzione di parte civile, aveva, seppure da poco, cessato le sue funzioni e il dott. Cassetta aveva cessato di appartenere all’ordine giudiziario nel lontano 2005″.

Nello specifico, Giacovelli “si era costituito parte civile per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalle immissioni nocive al suo terreno, sito nelle immediate vicinanze dello stabilimento siderurgico”. Cassetta,
invece, “aveva agito per il riconoscimento del risarcimento dei danni patrimoniali, e non, cagionati dalle condotte criminose degli imputati. Residente insieme alla moglie nelle immediate vicinanze dello stabilimento siderurgico, nel quartiere Borgo di Taranto, e proprietario di immobili nella stessa zona, aveva rappresentato di aver subito, ingiustamente e concretamente, le conseguenze nocive delle polveri inquinanti provenienti dai parchi minerari che non soltanto avevano deteriorato le abitazioni di residenza ma lo avevano anche esposto al concreto rischio, poi, avveratosi, di contrarre gravi malattie per le esposizioni agli agenti patogeni.

Per la Corte d’Appello, se “deve ritenersi ampiamente giustificata la costituzione civile di Martino Giacovelli,
Alberto Cassetta quali persone danneggiate dai reati, deve ritenersi infondata la tesi che vorrebbe individuare in ciascuno dei magistrati che abitano, o che sono proprietari di immobili nelle zone circostanti lo stabilimento Ilva, per ciò solo, persone offese o danneggiate dai reati in materia di inquinamento ambientale. Infatti, nei reati, come quelli di cui si tratta, che coinvolgono un numero indeterminato di persone, la contestazione mossa dal pm consente di delimitare solo l’ambito spazio-temporale nel quale è possibile individuare i potenziali danneggiati. Infatti – rileva la Corte d’Assise – proprio l’impossibilità di identificare, specificamente, questi ultimi, vale a dire coloro i quali ritengono di avere subito, in concreto, un danno, non permette di ritenere che, per il solo fatto di risiedere nel territorio interessato dall’attività inquinante, si possa essere individuati, men che meno astrattamente individuabili, come danneggiati o persone offese”.

Con la deposizione della motivazione relativa al trasferimento a Potenza degli atti del processo “Ambiente Svenduto” e all’annullamento della sentenza di condanna in primo grado per gli imputati – sentenza pronunciata a fine maggio 2021 dopo un lungo processo -, oggi si è compiuto solo il primo passaggio giudiziario dei tre che attengono l’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, relativamente ai problemi ambientali. Incombono infatti altri due nodi giudiziari. Il 24 ottobre prossimo ci
sarà l’udienza al Tribunale di Milano chiamato a decidere sull’applicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea dello scorso giugno. Quest’ultima ha detto che se ci sono danni alla salute, gli impianti dell’ex Ilva vanno fermati. Il Tribunale di Milano si è rimesso alla Corte UE a fronte di un esposto di cittadini di Taranto che hanno chiesto la chiusura della fabbrica.

In particolare, il Tribunale ha chiesto, con un rinvio pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo, se i provvedimenti adottati verso l’ex Ilva abbiano violato o meno il diritto comunitario. Altro nodo giudiziario è costituito dalla riassunzione al Tar di Lecce del giudizio sull’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, di maggio 2023, che imponeva la fermata degli impianti inquinanti. L’udienza si terrà il 10 febbraio 2025. L’ordinanza è attualmente sospesa, ma il Comune ha chiesto di riprendere la discussione a valle
della sentenza della Corte UE.

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