Sciopero della sanità privata, presidio davanti alla Regione Lazio

Ugl: “Oltre200mila operatori AIOP-ARIS senza rinnovo del contratto: sono lavoratori di serie B con stipendi da fame”.

Roma – Oltre duecentomila operatori degli ospedali privati, delle Rsa e delle strutture residenziali hanno manifestato stamattina di fronte al palazzo della Regione Lazio, in concomitanza con lo sciopero nazionale, per chiedere il rinnovo del contratto.

“Abbiamo portato la protesta degli operatori della sanità privata e del socio assistenziale a cui si applicano i contratti collettivi nazionali di lavoro AIOP ARIS e AIOP e ARIS RSA di fronte alla Regione Lazio nel giorno dello sciopero nazionale per il mancato rinnovo dei loro accordi”, dichiarano in una nota congiunta Paolo Capone, segretario generale della UGL e Gianluca Giuliano, segretario nazionale della UGL Salute presenti alla manifestazione.

“È inaccettabile che, da troppi anni, questa grande schiera di professionisti si trovi senza contratto. Sono gli stessi che hanno guadagnato le pagine dei giornali sentendosi chiamare eroi. Oggi rischiano di essere dei dimenticati, dei lavoratori di serie B con stipendi da fame e condizioni lavorative il più delle volte molto critiche. Il tavolo di trattativa da parte delle associazioni datoriali non è stato ancora avviato. Il tempo passa, il costo della vita mette sempre più in difficoltà le famiglie e a questi operatori viene negata la dignità di un nuovo contratto con adeguamenti economici al passo con i tempi. La sottoscrizione di due accordi ponte, che avrebbero dovuto portare all’elaborazione di un contratto unico del settore sociosanitario, è stata disattesa. Non si può più aspettare. È ora di rinnovare i ccnl e che le istituzioni facciano la loro parte trattandosi di strutture accreditate che utilizzano soldi pubblici. Siamo pronti a proseguire la lotta al loro fianco con tutti i mezzi a nostra disposizione, fino a quando non avremo sostanziali novità, per dare a questi oltre duecentomila lavoratori un nuovo accordo dignitoso nel nome della giustizia sociale” concludono i sindacalisti.

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