Ipotesi nella prossima Legge di Bilancio: in questo modo le aziende avrebbero manodopera più disponibile a beneficio della produttività.
Roma – Gli stipendi al Nord sono più alti del 35% rispetto al Sud. Il divario salariale persiste, ma intanto il governo sta valutando l’ipotesi di una tassazione ridotta degli straordinari per garantire così più soldi in busta paga al ceto medio. L’esperimento, già testato con successo nei settori sanitario e turistico con una flat tax del 15%, è pronto a essere ampliato a tutti i settori produttivi, e vuole rendere più semplice per i lavoratori accettare ore extra senza l’ansia del Fisco. I dati più recenti dell’Inapp (l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) certificano che in Italia il 60% dei dipendenti, cioè oltre 15 milioni di addetti, effettua lavoro straordinario.
La legge impone un tetto annuo di 250 ore, con l’entità dell’emolumento che varia da contratto a contratto in base al numero di ore in più: nel settore del commercio è previsto un surplus tra il 15 e il 30% rispetto alla paga base; in quello del turismo le maggiorazioni possono raggiungere anche il 60% e in quello metalmeccanico possono oscillare tra il 25 e il 30%. Ad oggi, dal punto di vista fiscale, lo straordinario viene tassato su base Irpef come il reddito ordinario. Non è quindi previsto nessuno sconto con il risultato che i lavoratori spesso si rifiutano di farli, per evitare di rientrare in uno scaglione superiore a quello di appartenenza e pagare più tasse.
In questo modo il governo vuole portare i lavoratori ad avere un motivo valido per non dire di “no” a eventuali ore extra. Una mossa che punta a rilanciare la produttività, non toccando le finanze personali e dando la possibilità alle aziende di contare su una forza lavoro più motivata e disponibile. La proposta era stata applicata anche nel decreto liste d’attesa per medici e infermieri, con una flat tax, cioè un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali, che ha portato al 15% il prelievo tributario per le ore più necessarie per tagliare i tempi nell’erogazione delle cure.
Ma tornando al divario salariale, se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75. A rilevarlo è uno studio (che elabora dati Inps e Istat) della Cgia di Mestre secondo la quale la differenza è dovuta alla maggiore produttività del lavoro: al Nord è del 34% superiore al dato del Sud. Lo studio, ripropone, spiega la Cgia, la questione degli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree d’Italia, in particolare tra Nord e Sud, ma molto evidente anche quelli tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro.
L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte, per la Cgia, gli effetti sperati. A livello regionale la retribuzione media annua lorda dei lavoratori dipendenti della Lombardia è pari a 28.354 euro, in Calabria, invece, ammonta a poco più della metà; ovvero 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di appena 29,7. È a Milano che gli imprenditori pagano gli stipendi più elevati: 32.472 euro. Seguono Parma con 26.861 euro, Modena con 26.764 euro, Bologna con 26.610 euro e Reggio Emilia con 26.100 euro. In tutte queste realtà emiliane, la forte concentrazione di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto – come la produzione di auto di lusso, la meccanica, l’automotive, la meccatronica, il biomedicale e l’agroalimentare – ha “garantito” alle maestranze di questi territori buste paga molto pesanti.
I lavoratori dipendenti più “poveri”, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua pari a 14.365 euro, a Cosenza con 14.313 euro e a Nuoro con 14.206 euro. I più “sfortunati”, infine, lavorano a Vibo Valentia dove in un anno di lavoro hanno portato a casa solo 12.923 euro. La media italiana, infine, ammontava a 22.839 euro. Secondo il report, il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato pari a 253, al Sud, invece, a 225. Pertanto, nel settentrione un ipotetico operaio ha lavorato 28 giorni in più che corrispondono a oltre 5 settimane lavorative “aggiuntive” rispetto a un collega meridionale.
Gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate durante il 2022 sono stati quelli occupati a Lecco (264,2 giorni). Seguono i dipendenti privati di Vicenza (262,6), Biella (262,4), Padova (261,9), Treviso e Bergamo (entrambe con 261,6). Le province, infine, dove i lavoratori sono stati “meno” in ufficio o in fabbrica durante il 2022 sono quelle di Foggia (210,5 giorni), Rimini (209,9), Nuoro (203,4) e Vibo valentia (190,8). La media italiana è stata pari a 244,4 giorni.