Consulta, è legittimo il payback sui dispositivi medici: aziende nel panico

Il presidente di Confindustria dm, Nicola Barni: “Applicare il meccanismo porterà una crisi irreversibile, governo convochi subito tavolo”.

Roma – Lo scorso 22 luglio la Consulta aveva chiuso una querelle che andava avanti da mesi sentenziando che “è legittimo il payback sui dispositivi medici”. Innanzitutto, va chiarito di cosa parliamo: il payback è il meccanismo che impone alle aziende che riforniscono di dispositivi medicali le Regioni e i loro sistemi sanitari di concorrere allo sforamento dei tetti di spesa. Ebbene, per la Corte Costituzionale questo meccanismo “presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art.41 della Costituzione, quanto al periodo 2015-2018”. Il payback “pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà”.

Per la Corte Costituzionale, inoltre, “il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della sentenza n.139″ . Inoltre, la Corte ha osservato che “la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali. Una pronuncia che però getta nel terrore le aziende. Applicare il meccanismo del payback “causerà una crisi irreversibile”, commenta Confindustria dispositivi medici. “Chiediamo con forza al Governo l’immediata convocazione di tavoli per gestire la crisi del comparto”, rileva in una nota il presidente di Confindustria dm, Nicola Barni.

Nicola Barni

“La pronuncia di rigetto della Corte costituzionale sull’incostituzionalità del meccanismo del payback sui dispositivi medici versa un intero comparto e tutta la filiera italiana del settore in una crisi irreversibile. Gran parte delle imprese non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia”, osserva Barni. “Confindustria Dispositivi Medici chiede con forza al Governo l’immediata convocazione e costituzione di tavoli per gestire la crisi del comparto. Inoltre, con questa sentenza – prosegue – non si è considerato che le imprese potrebbero non essere in grado di provvedere alle forniture con un’inevitabile ripercussione sulla capacità del sistema di garantire la tutela della salute dei pazienti”. 

“Basta che il governo voglia, e avendo un decreto simile a quello che ci firmò nel 2022 il ministro Speranza, noi abbiamo per il rimborso dei quattro anni” dal 2019 al 2022 “la possibilità di ottenere dal governo l’autorizzazione a escutere da coloro che forniscono dispositivi medici altri 420 milioni: se il governo fa questo atto, noi togliamo l’incremento dell’addizionale Irpef”, ha detto Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana. Il mancato ottenimento del rimborso delle aziende, secondo il governatore, è ciò che ha spinto la Regione all’aumento delle aliquote dell’addizionale regionale Irpef deciso a fine anno scorso, per evitare tagli alla sanità.

Una manifestazione contro il payback

Lo scorso anno imprenditori e figure apicali delle imprese italiane dei dispositivi medici sono scesi in piazza a Roma per protestare contro il payback. Una protesta inconsueta per il settore, che ha portato in Piazza Santi Apostoli un migliaio di persone, fra manager e rappresentanti delle aziende del settore. A preoccupare in particolare è che il fallimento delle imprese generebbe un’interruzione delle forniture agli ospedali, e dei servizi per i cittadini. Un effetto devastante per un comparto che complessivamente alimenta un mercato da 10,8 miliardi di euro (incluso l’export) e conta 4.546 aziende, che occupano 112.534 dipendenti. 

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