Stop al fumo in spiaggia e no a scarpe rumorose, estate tempo di ordinanze

I primi cittadini le pensano tutte per mantenere il decoro urbano, non inquinare e addirittura dettano regole su come vestirsi.

Roma – Estate, tempo di ordinanze. Spesso discusse, bizzarre e motivo di dibattito sotto l’ombrellone. Da Capri, dove il sindaco con un’ordinanza ha vietato di fumare sulla spiaggia, ai villeggianti di Sant’Antioco, paesino a Sud della Sardegna – meta ogni anno di migliaia di turisti – tartassati da ben 23 divieti per chi scende tra gli ombrelloni, e la loro violazione comporta una sanzione dai 25 ai 500 euro. Oltre alle consuete norme di igiene pubblica che vietano l’abbandono dei rifiuti e l’utilizzo di contenitori o sacchetti monouso non compostabili, non si può mangiare sotto l’ombrellone o sulla battigia, che si tratti di un pic nic o di consumare pasti di qualsiasi natura.

Così come è vietato montare tende, assembramenti di ombrelloni, teli e strutture similari oppure, si legge ancora, usare le pietre come ancoraggi contro il vento, praticare qualsiasi gioco e attività sportiva. Addio alle partite di calcio o calcetto, tennis da spiaggia, pallavolo, bocce. Non è tutto, la musica che anima le giornate estive e i giochi d’acqua è finita: vietato pure utilizzare riproduttori sonori a volume tale da arrecare disturbo alla quiete. Ma non sarà troppa questa quiete?

Se poi vale il detto ‘tutti al mare a mostrar le chiappe chiare’, i turisti di Gallipoli si sentiranno certamente sollevati dal fatto che in spiaggia il detto vale. Non vale invece per la città, vecchia o nuova che sia: lì le terga devono essere ben coperte. E non solo quelle, bensì anche il torso dell’uomo non potrà essere nudo, pena sanzioni pecuniarie. Ed è questa solo una delle ordinanze emesse lo scorso anno dal sindaco pugliese, tra le quali quella relativa alle emissioni sonore ed acustiche e alle limitazioni orarie degli intrattenimenti negli esercizi pubblici.

I primi cittadini, insomma, le pensano tutte per mantenere il decoro urbano, non inquinare e addirittura dettano regole su come vestirsi. Chi non ricorda l’ordinanza del 2020 del sindaco di Adria, in provincia di Rovigo, in cui c’era un esplicito obbligo a vestirsi di chiaro dopo il tramonto. Perché? Per affrontare l’invasione estiva delle zanzare. Nel testo era scritto: “Nei luoghi aperti, dal crepuscolo in poi, (bisogna) indossare indumenti di colore chiaro che coprano la maggior parte del corpo e utilizzare repellenti cutanei per uso topico attenendosi scrupolosamente alle norme indicate sui foglietti illustrativi dei prodotti repellenti, con particolare attenzione al loro impiego sui bambini e donne in gravidanza e in allattamento”. Un’ordinanza flash, durata 24 ore, forse per il vespaio di polemiche e ilarità che aveva suscitato: il giorno dopo era stata ritirata bollandola come refuso. Un errore quello sugli abiti ma consigli dettati dalla Regione Veneto sul problema del virus West Nile. 

Sull’abbigliamento non si scherza invece alle Cinque Terre, tra i luoghi più belli della Liguria. Ma proprio in questa meraviglia tra sentieri, cielo e mare, vige un rigido divieto che colpisce le calzature. Qui non si possono indossare gli infradito, le ‘flip-flop’ infatti sono severamente vietate e i contravventori rischiano multe dai 50 ai 2.500 euro. Provvedimento simile anche a Capri, dove ‘sono tutti benvenuti tranne chi indossa scarpe rumorose’, diceva un’ordinanza dello scorso anno. Proseguendo nella lunga lista di divieti a Eboli, in provincia di Salerno, è ‘Vietato scambiarsi baci e carezze in auto’, le contravvenzioni vanno da 50 a 500 euro.

E se i turisti non sono certo contenti della sfilza di divieti, non lo sono neppure i nostri amici pelosi a quattro zampe, tra rischio abbandono e qualche trovata non proprio pet friendly. Come quella dello scorso anno del sindaco di Castelbuono, paesino del palermitano: vietato sfamare cani, gatti e volatili in aree pubbliche, pena una sanzione da 25 a 500 euro. L’Oipa, Organizzazione internazionale protezione animali, per fortuna, ha presentato immediatamente un’istanza di revoca in autotutela.

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