L’immobilismo nel lavoro: la metà è insoddisfatta ma poco propensa a cambiare

Lo rivela lo studio condotto da Hopes and Fears Global Workforce di PwC, una rete multinazionale di imprese operativa in 158 Paesi.

Roma – Gli italiani sono delusi del proprio lavoro, ma poco propensi a cambiarlo. Negli ultimi tempi sono state effettuate numerose ricerche sul mondo del lavoro, i cui campioni di studio spesso sono scelti con metodi diversi e i loro risultati, possono essere divergenti tra di loro, proprio perché l’oggettività nella scienza sociale è, ancora, in là da venire. Vanno prese con le pinze, proprio perché danno una visione parziale del fenomeno oggetto di studio. Tutt’al più potranno essere considerate come utili indicazioni. Una delle più recenti ricerche ha rilevato che il 50% dei lavoratori italiani è insoddisfatto del proprio lavoro. Ci si aspetterebbe una certa dinamicità nel cercarne uno nuovo ed, invece, sguazzano in un uno spiccato immobilismo. Forse perché sono conservatori e si accontentano di quello che hanno, oppure, prevale il timore di lasciare il certo (il lavoro attuale) per l’incerto (quello futuro). Probabilmente, al contrario di quanto hanno affermato, la loro opinione sul lavoro che hanno non è così negativa.

Lo studio è stato condotto da Hopes and Fears Global Workforce di PwC (PricewaterhouseCoopers), una rete multinazionale di imprese di servizi professionali, operativa in 158 Paesi, che fornisce consulenza di direzione e strategica, revisione di bilancio, legale e fiscale. Sono state intervistate 56600 lavoratori in 50 Paesi del mondo e gli italiani si sono distinti per mancanza di fiducia nel miglioramento della propria carriera. Il 54% è soddisfatto di quello che fa, ma non fa nulla per una promozione o un aumento della retribuzione. Il 22% è disposto a lasciare il lavoro nel prossimo anno, mentre a livello mondiale sono il 28%. Per le maestranze italiane un lavoro appetibile è quello con uno stipendio adatto, partecipativo e svolto in un ambiente stimolante e solidale. Si tratta di aspirazioni che la realtà è pronta a smentire. Infatti il lavoro viene considerato inappagante e con una retribuzione inadeguata. Però solo un terzo di essi richiede giusto chiedere un suo aumento, mentre a livello mondiale si raggiunge il 43%.

Forse un aspetto che frena lo slancio dei lavoratori, potrebbe essere la condizione generazionale. La Generazione Z, i nati tra i medio-tardi anni novanta del XX secolo e i primi anni 2010, al contrario della precedente, ha mostrato la tendenza a cambiare diversi lavori. Il loro approccio di fondo è orientato al lavoro inteso come benessere psicofisico e al raggiungimento di un equilibrio con la vita privata. Sono atteggiamenti di rottura rispetto ai paradigmi culturali del passato, che secondo gli autori dello studio possono essere sintetizzati da un solo slogan: lavorare meno e meglio. Per fare questo, si rivelano necessarie le competenze attraverso cui potersi meglio districare tra i meandri del mercato del lavoro. L’Intelligenza Artificiale (IA) desta non poca apprensione, tanto che le aziende che la utilizzano sono inferiori rispetto a quelle europee. Inoltre al crescere dell’età, ne cala l’uso.

Emerge una inadeguata comprensione delle possibilità che può offrire l’IA alla propria professione e all’azienda in generale. I dati, infatti, ci dicono che un po’ oltre il 50% dei lavoratori italiani ritiene il management della propria azienda non all’altezza delle nuove sfide, soprattutto per la cura del benessere dei dipendenti e l’ottimizzazione delle risorse. Infine, è emerso un mancato coinvolgimento dei lavoratori nel raggiungimento degli obiettivi, da cui, forse, scaturiscono assuefazione e disillusione, che sono le due condizioni attraverso cui i lavoratori italiano si proiettano nel futuro!

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