L’Italia avrà un portafoglio “di peso” nel “governo” di Bruxelles e un incarico ambito dovrebbe andare al ministro Raffaele Fitto.
Roma – Alla fine potrebbe essere un aggettivo, “esecutivo”, a determinare la scelta di Fratelli d’Italia di votare a favore o contro Ursula von der Leyen per un nuovo mandato alla guida della Commissione di Bruxelles. È largamente probabile, infatti, che l’Italia avrà un portafoglio “di peso” nel “governo” del Parlamento Ue e che questo andrà proprio a un esponente di FdI, il ministro Raffaele Fitto, che sul suo possibile “ruolo di peso” si schermisce con una battuta: “Io sono a dieta e sto cercando di mettermi in forma ma per una questione di approccio personale e non per questo appuntamento”.
Ma è altrettanto vero che Giorgia Meloni punta non solo a una delega di rilevo per il candidato italiano (Bilancio e Pnrr), ma anche a una vicepresidenza “esecutiva” e non solo formale. Ed sarebbe questo il principale nodo da sciogliere per Palazzo Chigi, come puntualizza lo stesso responsabile degli Affari europei: “L’Italia, per una logica di peso e credibilità del nostro Paese e fatemelo dire di grande credibilità del nostro premier, mi sembra che abbia tutte le condizioni per giocarsi la partita e per portare a casa un risultato utile per il Paese e che sgancerei dalle dinamiche politiche interne”.
Gli occhi sono puntati al voto del 18 luglio: Ursula von der Leyen a stretto giro, potrebbe incontrare i rappresentanti di Ecr nel suo giro di consultazioni in vista del voto del giorno X, quando cercherà di ottenere il bis dall’Europarlamento. Meloni negli Usa invece potrebbe avere qualche confronto con gli altri
capi di stato e di governo europei. Il posizionamento in Europa rischia comunque di mandare in tilt la maggioranza in Italia. Matteo Salvini sui social esulta per la nascita del gruppo dei Patrioti, la via “per cambiare” l’Ue e “contrastare ogni inciucio coi socialisti, i filo-islamici, i filo-cinesi, gli estremisti del green deal, delle auto elettriche a ogni costo”.
“Patriota che cosa vuol dire? Anche io sono patriota, però sono europeista, non sono contro gli altri”, lo provoca Antonio Tajani, dopo aver già definito “ininfluente” la nuova componente trainata da Viktor Orban al Parlamento europeo. In mezzo c’è Giorgia Meloni, che in una settimana di trattative decisive per la nascita della nuova Commissione Ue è volata a Washington per il vertice Nato, dove ha esposto agli alleati la postura politica e militare dell’Italia nell’Alleanza. Sull’aumento delle spese militari “ci metto la faccia”, disse un anno fa in Parlamento, e ora potrebbe confermare l’impegno sul percorso verso il 2% del Pil, altro
tema su cui in questi mesi si sono misurati i distinguo leghisti.
Dai confronti dei prossimi giorni si misurerà anche il margine di azione e influenza della premier sulle dinamiche a Bruxelles: a seconda delle prospettive, può essere più forte o più debole, o semplicemente più libera. Il suo gruppo, quello dei Conservatori europei, ha perso pezzi, ma d’altro canto ora la leader di FdI potrebbe essere considerata un argine ai sovranisti più a destra di lei, o all’occorrenza un ponte. A maggior ragione dopo il flop elettorale di Marine Le Pen in Francia. Conclusa la missione di due giorni negli Stati Uniti, dovrebbe entrare nel vivo la trattativa sul commissario per l’Italia, che spinge per ottenere anche una vicepresidenza esecutiva.
Diversi sono anche toni e ragionamenti di fronte al voto francese. Salvini punta l’indice verso il “caos” prodotto dalla “ammucchiata costruita da Macron”, e Tajani invece verso “l’estrema destra che da sola è
condannata a perdere”. Uno scenario in cui rischiano solo di aumentare le fibrillazioni già da tempo evidenti su più fronti, dalle nomine a vari provvedimenti in Parlamento (vaccini, balneari, castrazione chimica, ad esempio). Al Consiglio nazionale di FI, Tajani ha lanciato l’Osservatorio sull’autonomia differenziata,
chiarendo che sarà una “struttura politica” interna, che prenderà “eventuali iniziative qualora ci fossero distrazioni nell’applicazione della riforma”.
Un messaggio tranquillizzante per l’anima meridionale del suo partito, ma anche un chiaro avvertimento agli alleati in vista della complicata definizione dei Lep e delle trattative Governo-Regioni. Poco dopo Salvini ha riunito ministri e sottosegretari della Lega, per fare il “punto sulla situazione politica” e rilanciare su “alcuni obiettivi rilevanti come – tra le altre cose – aumento di stipendi e riforma delle pensioni, autonomia e premierato, sicurezza e immigrazione”.