Il ricorso alla cassa integrazione anche per chi non ne avrebbe bisogno. Non sono poche le ditte che l’hanno fatto ma occorrono controlli più scrupolosi.
Tra i tanti misteri del momento di passione c’è anche quello della cassa integrazione. Mentre vi sono diversi comparti industriali che hanno mantenuto i livelli di vendita invariati o, addirittura, maggiorati magari riconvertendo a tempo di record le linee di produzione, ve ne sono molti altri che hanno dovuto chiudere i battenti e ricorrere alla cassa integrazione. Esiste anche una sparuta fetta di mercato che ha cercato di massimizzare il profitto mantenendo l’attività industriale costante ma utilizzando comunque lo stesso ammortizzatore. Il sindacato USB avrebbe individuato nell’Adapta una di queste società “furbette”, denunciandone attraverso il proprio sito web la vicenda “inverosimile” che starebbero vivendo i lavoratori di questa azienda.
L’Adapta, società impegnata nella gestione di una lavanderia industriale, vanta un’unica commessa: il lavaggio di camici, lenzuola, e tutto ciò che viene utilizzato negli ospedali di Roma. In un momento di crisi pandemica come quello attuale l’attività dell’Adapta ricopre sicuramente un ruolo essenziale ed è giusto che continui a lavorare.
Quello che appare meno limpido è il contesto contrattuale e salariale a cui gli operai sarebbero stati sottoposti. Infatti il sindacato ha denunciato gravi inadempienze e non solo:
”…La ditta romana impiega circa 200 lavoratori che ad oggi non sanno nulla del perché sono stati posti in cassa integrazione ordinaria – dicono da Usb – non hanno mai avuto nessuna informativa né dall’azienda, né dalle organizzazioni sindacali. Qualcuno tra i lavoratori ha scoperto di essere stata posto in cassa integrazione con lettera ricevuta la prima settimana d’aprile…”.
Da quanto si legge sul sito telematico dell’Usb anche la scelta della cassa integrazione non avrebbe avuto una logica nell’assegnazione. Per alcuni lavoratori sarebbe stata imposta una cassa a zero ore mentre per altri sarebbero state effettuate scelte differenti. Il grande dubbio che muove il sindacato è il perché di questa strana politica se l’azienda non ha subito nessuna contrattura produttiva? Inoltre sembrerebbe che la scoperta di tale indirizzo sia arrivata in maniera casuale, come un fulmine a ciel sereno.
“…La sorpresa più grande – aggiungono dal sindacato– è arrivata in questi giorni con la busta paga di marzo dentro la quale i lavoratori si sono ritrovati uno stipendio di appena 200 euro. Così si è scoperto che la cassa integrazione è scattata dal 9 marzo mentre l’azienda non anticipa il trattamento e non integra la perdita del 20% del salario non coperto dalla cassa. Oltretutto i lavoratori assenti per ferie programmate dalla ditta prima dell’emergenza sanitaria, sono invece stati posti in cassa integrazione a loro insaputa…”.
L’Usb sembra un fiume in piena e non risparmia nessuno, specie i colleghi dei sindacati confederati: “…Il paradosso è che anche Cgil, Cisl e Uil dichiarano di non saperne nulla – osserva il sindacato di Base – e in un comunicato asseriscono che c’è stato anche un incremento dell’attività produttiva grazie proprio all’emergenza sanitaria…”.
L’Unione Sindacale di Base conclude il comunicato lanciando un appello alle istituzioni e invocando un controllo più scrupoloso nelle dinamiche lavorative: “…L’USB ha denunciato più volte il rischio concreto che in questa fase di crisi ci siano aziende che ne approfittano per fare cassa. (…) Che i lavoratori non siano stati coinvolti, allertati, informati dalle organizzazioni sindacali di categoria è vergognoso. E il risultato concreto è che oggi hanno percepito 200 euro di salario ed esprimono tutta la loro difficoltà e la loro rabbia…”.
Se l’incresciosa vicenda fosse confermata nella sua interezza, il fattaccio costituirebbe l’ennesimo brutto capitolo di un’Italia allo sfascio, non solo per colpa del virus letale. Per molti questa crisi è sinonimo di sacrificio e austerity, per altri, invece, si sta rivelando un momento propizio per speculare sui profitti.