A patto che si propongano alternative sostenibili e politiche che abbiano al centro dei programmi la salvaguardia concreta del pianeta. Dal dire al fare in tempi da record.
Il clima sul nostro pianeta è diventato ormai la priorità assoluta, o perlomeno dovrebbe esserlo. Nonostante la crescente sensibilizzazione, persiste l’arrancante risposta dei vertici di tutto il mondo, i quali sembrano ancora non completamente coinvolti e sommersi dall’onda del cambiamento naturale. Mentre la situazione attuale non si dimostra confortante, esistono tuttavia dei segnali in controtendenza. Fenomeni quali disboscamento, desertificazione e altre calamità, sempre più pressanti sul nostro destino e su quello dell’ambiente che ci circonda, stanno cominciando a trovare qualcuno, o qualcosa, che vorrebbe provare a debellarli, o quantomeno a rallentarli.
Una delle pratiche che sta agendo in tale direzione è la cosiddetta agricoltura rigenerativa (o organico-rigenerativa), volta appunto a ripristinare e riequilibrare lo stato dei terreni, attualmente in costante inaridimento in buona parte della superficie terrestre. Questo genere di coltura va a contrapporsi all’agricoltura intensiva, dalla metà del secolo scorso senza dubbio la pratica più usata, ma anche la più deleteria per la longevità e la preservazione del suolo. Con questa attuale formula si è ottenuta una massimizzazione in termini di prodotti agroalimentari, ma si è anche decretata una sorte più prematura della terra stessa, perché sfruttata oltremodo e derubata dei suoi elementi più preziosi, quali minerali e materia organica. Una coltivazione consapevole come quella rigenerativa, invece, permette di continuare a coltivare e, parallelamente, riesce a mantenere fertile il suolo coltivato.
Il funzionamento di questa tecnica benefica si avvale di alcuni importanti accorgimenti. In primo luogo, per agire al meglio, il terreno necessita di una maggiore rotazione delle colture, nonché di una certa continuità nell’occuparlo. A questa attività dovrà essere accompagnata una progressiva riduzione delle lavorazioni, quindi meno operazioni da parte di macchine agricole e al contempo una limitazione delle arature, le quali rendono maggiormente ossigenato il suolo, fattore dannoso per la vita delle piante. Tale decremento porterebbe anche un beneficio agli addetti ai lavori, che sarebbero meno oberati e potrebbero quindi ridurre il consumo di energie delle attrezzature utili all’agricoltura. Mantenendo la terra libera da lavorazioni, nella fase transitoria tra due colture, si riuscirebbe già a combattere fenomeni quali erosione e degradazione della materia organica. Questo processo, però, potrebbe essere ulteriormente ottimizzato se venissero sfruttati i residui vegetali della prima coltura o coltivando un tipo di vegetazione non destinata alla produzione oppure con interventi preliminari (come la concimazione) destinati poi alla produzione seguente. Tutti questi procedimenti vanno sotto il nome di colture di copertura (cover crop). Con il loro utilizzo si riuscirebbero a limitare gli effetti dannosi per il suolo e, contemporaneamente, a migliorare l’efficienza di tutto l’ecosistema. Il terreno catturerebbe la luce solare, tratterrebbe gli elementi nutritivi e, soprattutto, fungerebbe da filtro naturale per l’anidride carbonica, sottraendola all’aria che respiriamo.
I vantaggi di questo sistema agricolo sembrano perciò garantiti e ne andrebbero a beneficiare sia persone che ambiente, poiché è frutto di un processo produttivo sostenibile e di un metodo genuino contro l’evoluzione del clima. Perché poi si possano apprezzarne realmente gli effetti si dovranno attendere circa 3-5 anni, ovvero un adeguato periodo di transizione dal vecchio sistema di coltura a quello organico-rigenerativo.
Il processo di agricoltura rigenerativa sta conoscendo una lenta e graduale diffusione in Italia, con alcune realtà che si stanno facendo sapienti portatrici di questo cambiamento. A partire dalla ONG Deafal, organizzazione in prima linea nella promozione di questo tipo di agricoltura, ma anche diretta incaricata per la formazione specifica di agricoltori e di altri soggetti del settore. Un differente soggetto motore di questa innovazione è la Cooperativa Nuovo Cilento, la più grande nell’ambito dell’olivicoltura, che si sta adattando con forza e convinzione al nuovo sistema e vuole essere d’esempio per altre aziende e agricoltori che si avvicinano per la prima volta a questo mondo. Vi è poi il fiore all’occhiello, la teoria che diventa pratica: l’azienda agricola Blasi, con sede a Grottaglie, nel tarantino, è stata la prima in Italia a portare a compimento un’intera produzione con il metodo rigenerativo. L’azienda pugliese ha saputo abbinare tradizione familiare e innovazione, riuscendo così a produrre un’ottima uva da tavola, pronta ad avere l’etichetta del biologico e destinata (per il momento) a un consumo esclusivamente locale.
Si tratta di degni esempi che cambiare si può e che l’agricoltura rigenerativa è uno dei più efficaci metodi per farlo. I primi frutti stanno venendo fuori e i presupposti sembrano più che positivi, quindi si auspica che la nuova formula possa diventare presto uno dei capisaldi di un mondo di nuovo più verde e più vivibile.