Francesco Schiavone ha iniziato a collaborare con i magistrati della Dda. Arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo, si trovava al carcere duro.
Napoli – Dopo il primogenito Nicola, che aveva assunto le redini del clan, collaboratore di giustizia dal 2018, e l’altro figlio Walter, pentitosi nel 2021, ora tocca al padre Francesco Schiavone gettare la spugna dopo 26 anni di carcere duro. Il boss del clan dei Casalesi, più note come Sandokan, ha iniziato a svelare ai magistrati i segreti del sodalizio camorristico, rimasti sigillati dietro un muro di omertà per quasi trent’anni.
La notizia era nell’aria da tempo, ma se n’è avuta conferma soltanto quando – come anticipato dall’edizione cartacea del quotidiano “Cronache di Caserta” e confermato dalla Dda – nella giornata di ieri le forze dell’ordine si sarebbero recate a casa dei familiari del superboss per proporre il programma di protezione.
Arrestato nel luglio del 1998 nel suo bunker di Casal di Principe, Schiavone è stato il fondatore della cosca dei Casalesi, l’uomo che spodestò Antonio Bardellino – ucciso in Brasile e il cui corpo non fu mai più ritrovato – e ridisegnò la mappa criminale del clan, seminando il terrore nell’agro aversano tra gli anni ’80 e ’90.
Capelli lunghi e una certa somiglianza con l’attore Kabir Bedi, da cui il soprannome Sandokan, Schiavone ha sulle spalle una sfilza di ergastoli, l’ultimo dei quali gli è stato inflitto per il triplice omicidio di Luigi Diana, Nicola Diana e Luigi Cantiello. Durante il dibattimento il boss aveva chiesto di accedere al rito abbreviato e ai connessi sconti di pena, la prima incrinatura dopo decenni di granitica opposizione a qualunque imputazione.