Continua la manifestazione anti Salvini: 7000 persone si sono riversate in Piazza Grande, ma non c’è alcuna proposta concreta. Tre spunti di riflessione sul tema.
Lo hanno fatto di nuovo. Dopo Bologna, anche Modena, ieri sera, si è riempita di “sardine”.
Nonostante la pioggia incessante, 7000 persone si sono riversate in Piazza Grande (dopo le 15000 di Piazza Maggiore: in proporzione ieri è andata anche meglio, se si tiene conto della differenza di dimensioni tra le due città). Nessuna bandiera di partito, tanti striscioni, “Bella ciao” cantata in loop e gli interventi degli organizzatori che si concludevano, rigorosamente, con la solita salmodia: “Modena non si lega”. Proposte politiche nessuna: a parte la pace nel mondo e l’amore che deve superare l’odio.
Il grande nemico, Salvini, a Modena anch’esso per una serie di iniziative elettorali, se l’è sostanzialmente cavata con un lapidario: “io sono qui a proporre cose, loro invece sono solo contro qualcuno”. Nel frattempo è continuata, sui mass media conservatori, la caccia al retroscena delegittimante: guardate che chi ha apparecchiato la tavola con le sardine è in realtà un amico di Prodi; anzi no, di Zingaretti; di Renzi; in ogni caso di Marx.
Al di là della cronaca, sembran d’uopo tre brevi riflessioni.
Primo. Che l’unico collante delle piazze ittiche emiliane sia l’antisalvinismo è un dato di fatto: in ore di comizi si sono sprecati i “siamo contro”, mentre non si rileva alcun “siamo a favore” degno di nota. Però che la predica venga da un pulpito che ha costruito la propria fortuna sul “contro gli immigrati” non è serio. A modo loro, anche le sardine sono frutto (seppur speculare) della comunicazione salviniana. O forse, più banalmente, entrambi questi fenomeni sono il risultato dell’era dei social: parlare a slogan paga, provare a ragionare molto meno.
Secondo. Quella in piazza era la sinistra, è ovvio, che i giornaloni di destra si tranquillizzino. Nessuno ha mai pensato potesse trattarsi di elettori della Carfagna. Che dietro a quelle piazze ci siano stati (ci siano o ci saranno) i partiti di sinistra è altrettanto ovvio. Semmai ciò che deve far riflettere è un altro dato: la sinistra, oggi, per risultare competitiva, deve nascondere le sue bandiere e rinnegare anche solo l’ipotesi di un leader (ieri sera le interviste dei capi sardini suscitavano persino tenerezza per il continuo mantra: “siamo apartitici”. Come se “partito”, a sinistra, fosse ormai quasi un insulto). Sorge però il dubbio che alla base del problema ci sia la discutibile qualità dei potenziali leader. Del resto, come efficacemente chiarito dall’Onorevole Rosato, a Firenze, non più di un mese fa: “i leader non piacciono a quelli che non li hanno”.
Terzo. Le sardine non cambieranno il mondo, come finiranno è persino facile prevederlo. Faranno ancora un po’ di iniziative (nuovi focolai si registrano in Umbria e in Piemonte), poi si sgonfieranno e torneranno nelle scatole. Qualcuno di loro troverà uno spazietto in un consiglio comunale; i più abili, se proprio le congiunture astrali saranno favorevoli, magari in Parlamento (non molti, a giudicare dal livello medio delle interviste: Samar Zaoui, autrice del famigerato post invocante “un giustiziere sociale” contro Salvini, che, a domanda diretta sull’episodio, ripete, tutta impacciata: “non rilascio dichiarazioni su questo argomento”, più che la leader di un movimento è sembrata letteralmente una sardina).
Però, si badi, a volte, cambiare il mondo non serve nemmeno. La Lega ha personalizzato fino all’estremo la competizione emiliana. Ne ha fatto, anche mediaticamente, una questione di principio: espugnare la roccaforte rossa, per poi prendersi l’Italia intera. In parte sembra di rivedere Renzi ai tempi del referendum (e tutti sappiamo com’è andata a finire).
Quindi attenzione al tempismo e alla geografia: le sardine, alle volte, possono risultare persino indigeste.