Chi protegge i ‘figli di un Dio minore’?

Due storie e un dramma: il neonato abbandonato nel caseggiato Aler al Giambellino e il bimbo in carcere a Torino con la madre.

Roma – Chi protegge i figli di un Dio minore? La cronaca delle ultime ore ci parla di creature venute al mondo abbandonate a sé stesse, vilipese, perdute. Vite appese al filo dell’indifferenza che colpisce gli indifesi. Due storie contrapposte raccontano il dramma di venire al mondo in un contesto sociale ai margini. La fotografia dai colori tristi e sbiaditi è quella del neonato abbandonato dentro un passeggino, in un androne al piano terra del caseggiato Aler del quartiere milanese del Giambellino. Lasciato davanti a una porta. Tutto questo mentre a Torino un’altra vita appena nata era finita dietro le sbarre del ‘Lorusso e Cotugno’ con la madre.

Entrambe le storie hanno avuto un primo piano sui media e hanno dato vita al solito dibattito politico tra destra e sinistra, ma quello che resta dietro le parole sono quei due bambini condannati in qualche modo all’emarginazione. In via degli Apuli, al Giambellino, accanto al piccolo, in discrete condizioni di salute e ben vestito, c’era un messaggio scritto in arabo: “La mamma è morta, non posso occuparmi di lui”. Sullo stesso foglio c’era anche un nome: Karas. Forse è così che si chiama il bambino.

Ma gli inquirenti stanno visionando le telecamere della zona per risalire a chi lo ha abbandonato e stanno ascoltando le testimonianze di chi abbia potuto vedere o sentire. È stato un abitante del palazzo a fare la scoperta e dare l’allarme: quando ha aperto la porta di casa per uscire ha trovato il bambino. Sono in corso ricerche in tutti gli ospedali milanesi in cui, però, non risultano donne morte di recente dopo aver partorito. “Abito qui vicino ma non mi conoscete” era scritto sul biglietto e i militari stanno sentendo più persone possibili che abitano nei caseggiati popolari di cui è composta la zona.

Alcuni abitanti dello stabile Aler, dove le occupazioni abusive sono un problema, dopo la scoperta del piccolo sono scesi in strada urlando che volevano dire la verità e hanno additato una giovane inquilina come la madre. Dai primi accertamenti dei carabinieri, però, la donna non sarebbe la mamma del piccolo. Ma al di là degli sviluppi dell’indagine, quello che resta è l’amarezza di una vita che nasce senza una famiglia pronta a proteggerlo e in un contesto sociale dove gli abbandoni aumentano.

neonato rapito il giornale popolare

Sono ormai sempre più frequenti i precedenti: il piccolo di Villanova Canavese trovato in un cassonetto a metà gennaio, il neonato lasciato giorni fa nel passeggino di un pronto soccorso ad Aprilia, e la bimba abbandonata in una Chiesa di Bari alla vigilia di Natale. Per questo la Fondazione Ai.Bi Amici dei Bambini ha annunciato di lavorare a una proposta di legge per rendere obbligatoria l’istituzione di un Culla per la Vita in ogni comune.

“Questi casi – sottolinea Ai.Bi. – mettono ancora in prima piano l’importanza di una efficace campagna di comunicazione che possa far conoscere la possibilità del parto in anonimato, un diritto per tutte le madri che possono recarsi in ospedale e partorire in sicurezza, senza alcuna discriminazione rispetto alle madri che partoriscono alla luce del sole. Oltre ai Centri di aiuto alla Vita (CAV), associazioni di volontari finalizzate all’aiuto di donne alle prese con gravidanze difficili o indesiderate, in Italia sono presenti Culle per la vita come quella aperta a San Giuliano Milanese”.

Un fenomeno a cui la Società italiana di neonatologia presta molta attenzione. Il dato più recente disponibile – fanno sapere – è quello emerso dall’indagine, durata un anno, tra luglio 2013 e giugno 2014, condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita ed effettuata dalla SIN in collaborazione con ninna ho, progetto a tutela dell’infanzia abbandonata, promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia. Su un totale di 80.060 bambini nati, sono stati 56 quelli non riconosciuti dalle mamme italiane. Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane, con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi. Pertanto, il fenomeno dei bambini non riconosciuti alla nascita incide a livello nazionale per circa lo 0,07% sul totale dei bambini nati vivi (dato diffuso dalla SIN nel 2015 e l’unico più recente al momento disponibile).

L’ordinamento giuridico italiano consente alla madre di non riconoscere il nascituro e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (dpr 396/2000), affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della donna rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino si riporta la dicitura di ’nato da donna che non consente di essere nominata’. In questi casi le mamme che restano nell’ombra, hanno dieci giorni per ripensarci e tornare sui loro passi, poi, non sapranno più nulla del figlio che hanno comunque messo al mondo.

Un altro caso che ha fatto discutere e creato un caso politico è quello di Aslan, neonato di neanche un mese entrato in carcere con la madre detenuta al ‘Lorusso e Cotugno’ di Torino. Dopo i tanti appelli al ministro della Giustizia Carlo Nordio, la donna di origini rumene è stata spostata con il figlio all’Icam, istituto di custodia attenuata per le madri detenute pensato per questi casi. A scoprirlo era stato il deputato di Avs, Marco Grimaldi, durante una visita di routine nella casa circondariale torinese. Il parlamentare si era appellato al Guardasigilli Nordio per un intervento tempestivo, e per “sanare una situazione assolutamente inaccettabile“.

Il Pd con la responsabile Giustizia Debora Serracchiani, aveva chiesto a Nordio di “riferire immediatamente in Parlamento”. A marzo dell’anno scorso, in commissione Giustizia della Camera, il centrosinistra dovette ritirare la proposta che dava la possibilità alle donne con figli entro i 3 anni di stare in case famiglia anziché in carcere. Il centrodestra, infatti, presentò emendamenti che cambiavano lo spirito della legge: perdita della patria potestà per recidiva e abrogazione del differimento della pena per donne incinte o con figli minori di un anno.

Una norma che lo stesso governo ha poi inserito in un cosiddetto “pacchetto sicurezza” a novembre, approvato in Consiglio dei ministri, ma “mai arrivato in Parlamento”, denuncia la dem Serracchiani, che aggiunge: “Abbiamo chiesto di poter leggere il testo, ma ci è stato detto che non è disponibile. Un vero mistero”. Nessun giallo, assicura invece il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni: “Siamo pronti a discutere il provvedimento appena sarà calendarizzato”.

Debora Serracchiani

Oggi il numero maggiore di figli al seguito di madri detenute si trova negli Icam. Regolamentati dal 2011, questi istituti dovrebbero essere distaccati dai penitenziari, ma spesso si trovano al loro interno o nelle vicinanze. Hanno 60 posti in totale e rientrano a tutti gli effetti nel circuito penitenziario. In Italia ce ne sono cinque: a Cagliari, Lauro (provincia di Avellino), Milano,Torino e Venezia. Si distinguono dalle carceri tradizionali perché tentano di essere a misura di bambino: il personale non è in divisa, c’è massima mobilità all’interno e, con l’aiuto dei volontari, i bambini svolgono molte attività fuori.

Ma gli Icam mantengono le caratteristiche di un carcere. Anche se alcuni sono organizzati in monolocali o bilocali autonomi, le stanze hanno le sbarre alle finestre, le porte si chiudono a una certa ora, non sono ammessi ospiti se non per i colloqui e si fa largo uso di videosorveglianza. All’Icam di Milano, il primo ad aprire nel 2006, queste storie sono diventate un libro. Si chiama ‘Mamma, dove siamo?’ Molto spesso, infatti, queste donne non hanno il coraggio di spiegare ai propri figli dove si trovano e perché sono in carcere. E così dicono bugie. Più sono reiterate e più si rischia di minare il rapporto con il proprio figlio.

Nel libro le figure che ogni giorno ruotano attorno ai bambini diventano così personaggi della fiaba: la casetta nel bosco è l’Icam, i folletti sono gli agenti della polizia penitenziaria, le fatine del bosco sono le educatrici. E poi c’è il tasso, che rappresenta la Giustizia. “ma perché mamma tu non verrai con me?” “Sai piccola, non sempre si può fare quello che si vuole. Esiste nel bosco un essere molto saggio, il Tasso, che decide quando le mamme dell’Icam possono uscire dalla porta magica”.

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