Mafia, sventato omicidio di imprenditore che denunciò il pizzo: 29 arresti

Maxi-blitz dei carabinieri a Niscemi. L’inchiesta coordinata dalla Dda ha permesso di fermare i killer già pronti all’agguato.

Caltanissetta – La mafia non si arrende. Nonostante la pioggia di arresti, le confessioni dei collaboratori di giustizia, i processi e le inchieste sempre più incisive dell’antimafia, nella profonda Sicilia, a Niscemi, i capobastone hanno rialzato la testa nel tentativo di riorganizzarsi, anche a costo di tornare ai vecchi metodi, una strategia di scontro frontale per ribadire la presa sul territorio.

Per questo motivo, in base a quanto emerge dalle carte dell’inchiesta di Dda e carabinieri che questa mattina ha portato ad un maxi-blitz a Niscemi con l’arresto di 29 persone, Cosa nostra intendeva punire il coraggio di denunciare il pizzo dimostrato anni fa da un imprenditore che decise di ribellarsi al ricatto mafioso. Un’onta che andava lavata perché sul racket la mafia non solo ci campa, ma attraverso il pizzo ribadisce giorno dopo giorno la sua ferrea volontà di controllare il territorio. L’omicidio era entrato nella fase operativa ed è stato sventato soltanto all’ultimo grazie al costante monitoraggio e all’intervento da parte dei carabinieri.

Nello specifico, l’attività d’indagine avrebbe consentito di tracciare l’evoluzione strutturale ed operativa della famiglia di Niscemi, identificarne i consociati ed i ruoli da costoro ricoperti. Inoltre dalle indagini sarebbe emersa la disponibilità del gruppo criminale di armi, nonché la commissione di reati da parte di soggetti sottoposti a misure di prevenzione personale (25 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 1 sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio svolto),
Sempre secondo l’ordinanza cautelare sussistono gravi indizi, che dovranno essere successivamente confermati dagli ulteriori passaggi processuali, in ordine a:
– l’operatività e lo stretto controllo sul territorio che avrebbe esercitato l’organizzazione, dalla quale emergerebbe la figura di Alberto Musto, ritenuto il capo del Mandamento di Gela, sul cui conto sono stati raccolti gravi indizi circa la sua appartenenza al citato sodalizio;
– la presunta esistenza di vincoli di solidarietà tra gli appartenenti alle famiglie, a favore dei quali gli indagati risulterebbero essersi attivati per il sostentamento dei sodali detenuti;
– il tentativo di estorsione in danno di un’attività commerciale del posto con il posizionamento di una bottiglia contenente liquido infiammabile con l’intento di impedire l’apertura dell’attività;
– due estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori agricoli, (uno dei quali sarebbe stato costretto a cedere i propri terreni attraverso una finta compravendita e l’altro sarebbe stato vessato per consentire il pascolo di animali nel proprio terreno);
– numerose minacce in danno di imprenditori, che in passato avevano denunciato alcuni componenti del sodalizio (nel corso delle indagini è stato scongiurato – nel mese di gennaio 2023 – l’intento omicidiario in danno di uno di loro, che in passato aveva denunciato il tentativo di estorsione, );
– una rapina esclusivamente progettata, ai danni di soggetti residenti in Lombardia, presumibilmente collegati alla criminalità e dotati di armi, che avrebbe fruttato circa un milione di Euro (come nel caso del progetto omicidiario, i propositi sono stati abbandonati a seguito della pressione esercitata dalle Forze dell’Ordine, attraverso controlli e perquisizioni);
– minacce dirette ad appartenenti delle forze di polizia compiute (mediante il collocamento di una testa di maiale dinanzi al portone d’ingresso dell’abitazione o programmate (mediante l’esecuzione di un danneggiamento con liquido infiammabile dell’autovettura e, a gennaio 2023, mediante l’esplosione di colpi d’arma da fuoco all’indirizzo dell’abitazione).


Tra i soggetti colpiti dalla misura cautelare figurano un poliziotto in pensione (agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa) e un carabiniere in servizio (sospeso dall’esercizio del pubblico ufficio per la durata di un anno per il reato di favoreggiamento aggravato).

L’operazione odierna è sintomatica di un ritorno della criminalità organizzata a una mentalità di almeno 30 anni fa (chi denuncia deve essere punito). Rispetto ad anni addietro sicuramente la grossa differenza è data dal fatto che le Istituzioni sono presenti, che lo Stato c’è, e l’odierna operazione, effettuata in tempi stretti e chirurgici, ne è la prova concreta.

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