Durante il processo di revisione sulla strage di Sannai il teste chiave ha ritrattato la sua deposizione: “Un poliziotto mi disse che il colpevole era lui”.
Roma – “Prima di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Beniamino Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata così”.
Nel corso di una drammatica deposizione di fronte ai giudici della Corte d’Appello di Roma, dove è in corso il processo di revisione, Luigi Pinna, 62 anni, unico superstite della strage di Sannai – avvenuta in Sardegna nel 1991 in cui furono uccisi 3 pastori e per il quale sta scontando la pena dell’ergastolo Zuncheddu, che si è proclamato sempre innocente – ha fatto cadere il velo su un macroscopico caso di malagiustizia.
Trentadue anni in carcere senza un motivo: è questa l’atroce sorte che la difesa di Beniamino Zuncheddu sostiene sia toccata al suo assistito. Tutto inizia nel 1991, quando in un ovile Cuile is Coccus (sulle montagne tra Sinnai e Burcei, in provincia di Cagliari) avviene un triplice omicidio. Muoiono assassinati Gesuino Fadda, proprietario dell’allevamento, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu. I morti, però, sarebbero dovuti essere in quattro. Se non fosse che uno di loro si salva: Luigi Pinna, marito di uno delle figlie di Fadda.
In un primo momento, afferma di non essere in grado di identificare il volto dell’assassino che, sostiene, sarebbe stato coperto. Ma dopo qualche settimana la sua versione cambia: dice di aver riconosciuto Zuncheddu in una foto. E quest’ultimo, all’epoca pastore di Burcei (sempre nel Cagliaritano), viene arrestato. A giugno 1992, arriva la condanna definitiva: ergastolo. Ma in tutti questi anni Zuncheddu ha continuato a battersi per dimostrare la sua innocenza.
La tesi della difesa, confermata adesso dalla deposizione di Pinna, è che allora la testimonianza determinante sia arrivata dopo pressioni esercitate da uno degli agenti che indagava sul triplice omicidio. Una testimonianza sostanzialmente pilotata che ha rovinato la vita ad un innocente. «Pensavo di fare una cosa giusta, così mi era stato detto», ha aggiunto Pinna.
“Ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata”, ha aggiunto il teste chiave in aula, che poi ha aggiunto: “penso che quel giorno a sparare furono più persone, non solo una. Con un solo fucile non puoi fare una cosa del genere”. Il superstite, contraddicendosi varie volte, ha poi sottolineato che il killer “aveva il volto travisato da una calza”. In occasione dell’udienza, fuori dal tribunale di Roma c’è stato un sit in con la partecipazione dei familiari di Zuncheddu e di alcuni militanti del partito Radicale. In prima fila la sorella di Beniamino, Augusta, convinta da sempre dell’innocenza del fratello.