Si riapre il processo per la morte di Serena Mollicone

La ragazza di Arce (Frosinone) era stata trovata priva di vita nel giugno 2001. L’anno scorso il tribunale aveva mandato assolto tutti gli imputati.

Roma – Da rifare il processo per la morte di Serena Mollicone. I giudici della Corte d’Assise di Appello hanno ammesso la rinnovazione dibattimentale fissando la prossima udienza al 20 novembre quando verranno ascoltati i consulenti delle parti.

Imputati – per accuse che vanno dall’omicidio al favoreggiamento – sono Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, il figlio Marco e la moglie Anna Maria. Insieme a questi, tra gli accusati, anche i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, quest’ultimo per l’istigazione al suicidio di Santino Tuzi, morto suicida poco dopo aver raccontato agli investigatori dettagli importanti ai fini dell’indagine. Tutti gli imputati erano stati assolti il 15 luglio del 2022 dal tribunale di Cassino.

Serena Mollicone sparì da Arce il primo giugno del 2001. Aveva 18 anni. Il suo corpo venne trovato in un boschetto ad Anitrella, nel vicino comune di San Giovanni Campano. Secondo l’ipotesi accusatoria la ragazza si era recata presso la locale caserma dell’Arma per recuperare dei libri che aveva lasciato nell’auto di Marco Mottola, figlio dell’allora comandante Franco.

Scomparsa il primo giugno 2001 e ritrovata morta in un bosco

A quel punto avrebbe discusso con il giovane che le avrebbe fatto battere con violenza la testa contro la porta di un alloggio della famiglia interno alla caserma. Credendo che Serena fosse morta i Mottola l’avrebbero portata nel boschetto dove, resisi conto che invece era ancora viva, l’avrebbero soffocata. Da quel momento sarebbero iniziati i depistaggi, cercando prima di far ricadere i sospetti su papà Guglielmo e poi sul carrozziere Carmine Belli, finito in carcere da innocente e poi assolto. Ma fu proprio il papà di Serena a raccogliere voci in base alle quali il brigadiere Santino Tuzi aveva detto di aver visto entrare Serena in caserma il giorno della sua scomparsa e di non averla vista uscire. Riaperte le indagini, Tuzi confermò ma poi, secondo gli inquirenti perché pressato dai colleghi, si tolse la vita.

E infatti tra i i testimoni che il procuratore generale ha chiesto di sentire c’è il luogotenente Gabriele Tersigni, ex comandante della stazione dei carabinieri di Fontana Liri, a cui il brigadiere Tuzi aveva affidato le sue confidenze dopo gli interrogatori del 28 marzo e del 9 aprile di quell’anno. Un teste chiave per la procura di Cassino che ne aveva già chiesto l’escussione in primo grado senza successo.

La procura generale ha suggerito alla Corte d’Appello di Roma di disporre una propria perizia di “ingegneristica robotica” sulla compatibilità del pugno di Franco Mottola con l’impronta sulla porta dell’alloggio nella caserma di Arce. Secondo l’accusa, la porta sarebbe stata danneggiata dalla testa della vittima caduta rovinosamente in seguito all’aggressione subita; al contrario la difesa sostiene che l’impronta sarebbe stata causata da un pugno scagliato da Franco Mottola in un altro momento. 

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