Operazione tra Castellamare, Pompei, Brescia e Pisa. In manette finiscono 18 persone del clan Cesarano accusate di associazione armata di tipo mafioso ed estorsione.
NAPOLI – Duro colpo al clan Cesarano di Castellammare di Stabia. Questa notte i carabinieri della compagnia locale hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 18 persone, accusate a vario titolo di associazione armata di tipo mafioso, tentato omicidio, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, accesso indebito a dispositivi per la comunicazione da parte di detenuti. E ancora estorsione, porto illegale di armi, rapina, reati aggravati dal metodo mafioso.
Il provvedimento, che è stato emesso emessa dal Gip del tribunale su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, è stato inoltre eseguito a Pompei e nelle province di Brescia e di Pisa.
Le indagini, condotte dai militari del Nor e della compagnia locale, su coordinamento della Dda di Napoli, sono partite nel giugno del 2020, a seguito della chiusura di un’indagine che ha permesso di scoprire gli affari di 16 persone, accusate di aver creato un gruppo criminale. Questo, originariamente legato al clan Cesarano, avrebbe sfruttato l’assenza momentanea di una leadership all’interno del sodalizio e avrebbe quindi concentrato le proprie attività sulle estorsioni a commercianti e attività imprenditoriali nel territorio di Castellamare di Stabia e sullo spaccio di droga.
L’indagine ha poi portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare e alla condanna di alcuni imputati che nel frattempo sono stati giudicati con il rito abbreviato.
La prosecuzione delle indagini è stata indirizzata agli aspetti associativi, tanto da riuscire a raccogliere gravi indizi sull’operatività del clan Cesarano, considerata dagli inquirenti come un’associazione armata di tipo mafioso che, dedita all’estorsione, al traffico di sostanze stupefacenti e alla detenzione di armi, intende controllare le attività illecite e lecite di Castellammare di Stabia, di Pompei e delle zone limitrofe.
I DEUS EX MACHINA
Per gli inquirenti al vertice dell’organizzazione ci sarebbero: Vincenzo Cesarano, detto “O Mussone”, Luigi Belviso e Giovanni Cafiero, che, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero organizzato e diretto le attività del gruppo.
In particolare Vincenzo Cesarano, cugino degli storici vertici del clan Ferdinando e Gaetano Cesarano, entrambi detenuti in regime di 41 bis, avrebbe gestito la cassa del clan, impartendo le direttive strategiche, mentre Giovanni Cafiero, genero di Gaetan Cesarano o, oltre a partecipare alle riunioni nelle quali venivano decise le strategie del gruppo e la questione del sostentamento degli affiliati detenuti, si sarebbe occupato del recupero dei crediti maturati da vari imprenditori. Luigi Belviso, invece, è accusato di aver promosso specifici reati e di aver avuto rapporti con esponenti di altri gruppi criminali dell’area napoletana. Secondo i le risultanze nel 2021 avrebbe tentato di separarsi da Vincenzo Cesarano e di assumere la guida del clan, in forza dell’avallo dei boss fondatori, acquisito per il tramite di Giovanni Cafiero.
LE ESTORSIONI
Le indagini hanno permesso di fare luce sul sistema di estorsioni che il gruppo avrebbe avviato nell’area stabiese ai danni di negozi, strutture ricettive, attività commerciali e imprenditoriali. Nella morsa sarebbe finito anche un familiare di Raffaele Imperiale (oggi collaboratore di giustizia), titolare di un’impresa edile, che, di fronte alla richiesta di 50mila euro da parte di un affiliato del clan, avrebbe invocato l’intervento del narcotrafficante, all’epoca latitante. Imperiale, tramite vari emissari riconducibili ad alcuni gruppi criminali campani, avrebbe contattato Vincenzo Cesarano che avrebbe preso le distanze dal suo affiliato.
LE ATTIVITÀ DEL CLAN
I militari hanno inoltre ricostruito il tentativo degli indagati di ripulire i proventi delle attività illecite, attraverso attività di investimento nei settori dei beni mobili e nel noleggio auto, nautico e edile- immobiliare.
Le indagini hanno permesso di fare luce sulle attività di Luigi Belviso, accusato di essere il presunto autore di una rapina a mano armata avvenuta a Pompei e a carico di un altro indagato, considerato il presunto mandante di un tentato omicidio, per il quale era stato ipotizzato un movente passionale ed erano stati già arrestati e condannati in primo grado i due esecutori materiali.
Secondo la ricostruzione investigativa, Guglielmo De Iulio sarebbe il mandante del tentato omicidio di un imprenditore stabiese e avrebbe commissionato il delitto a seguito di una diatriba scoppiata in occasione della compravendita di un terreno ubicato nella periferia nord di Castellammare di Stabia. Nel corso delle indagini sono state documentate cessioni di sostanze stupefacenti e sono emersi gravi indizi a carico di quattro indagati che avrebbero usato e comunicato con cellulari e sim indebitamente introdotti all’interno del carcere di Napoli Secondigliano.
Al termine delle formalità di rito, 14 indagati sono stati portati in carcere, uno sottoposto al regime dei domiciliari e quattro persone, due delle quali già destinatarie di misura cautelare in carcere, sono state sottoposte alla misura del divieto di dimora nella Provincia di Napoli.
Le persone ristrette in carcere sono: Vincenzo Cesarano, 62enne; Giovanni Cafiero, 44enne; Luigi Belviso; 45enne; Raffaele Belviso; 43enne; Francesco Corbelli, 35enne; Bartolomeo Langellotto, 56enne; Carlo Alberto Langellotto, 24enne; Andrea Bambace, 35enne; Domenico Aprea, 49enne; Michele Di Martino, 58enne; Gennaro Gambardella, 38enne; Gerardo Di Martino, 34enne; Guglielmo De Iulio, 40enne; Francesco Corbelli, 63enne.
Ai domiciliari è finito Francesco Assante, 40enne; mentre il divieto di dimora nella provincia è scattato per Luigi Belviso, 45enne; Raffaele Belviso, 43enne; Vincenzo D’Apice, 60enne; Domenico D’Apice, 31enne.