12 dicembre 1969: la strage di Piazza Fontana

Cinquantasei anni fa l’attentato che cambiò l’Italia. Diciassette morti, ottantotto feriti e una verità giudiziaria arrivata troppo tardi.

Milano – Nel pomeriggio del 12 dicembre 1969, alle 16.30, una bomba di straordinaria potenza squarciò il salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. L’esplosione uccise diciassette persone e ne ferì altre novanta, molte delle quali agricoltori e coltivatori diretti giunti dal territorio per il mercato settimanale. Il pavimento del salone venne letteralmente lacerato dalla violenza dell’ordigno.

Quella data segnò uno spartiacque nella storia della nostra Repubblica: per la prima volta l’omicidio di massa entrava prepotentemente nella dialettica politica nazionale, inaugurando quella che sarebbe stata definita “strategia della tensione”. L’innocenza del Paese era perduta per sempre.

L’esplosione di piazza Fontana non fu un evento isolato. Pochi minuti prima, un altro ordigno venne scoperto inesploso presso la Banca Commerciale di piazza della Scala, sempre a Milano. Tra le 16.55 e le 17.30, a Roma si verificarono altre tre esplosioni: una alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio e due all’Altare della Patria in piazza Venezia, che provocarono feriti e danni materiali.

Questi cinque attentati simultanei rivelavano un piano eversivo di vasta portata, finalizzato – come emergerà dalle indagini e dalle sentenze successive – a seminare disordine e paura per aprire la strada a sbocchi autoritari o a una stabilizzazione neocentrista del sistema politico.

Le indagini presero immediatamente una direzione che si rivelerà tragicamente sbagliata: magistratura e forze dell’ordine puntarono con assoluta certezza sugli anarchici. La sera stessa dell’attentato scattarono decine di arresti negli ambienti della sinistra extraparlamentare. Oltre ottanta persone finirono in carcere.

Tra loro Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, trattenuto negli uffici della Questura di Milano per tre giorni senza accuse formali e senza convalida del fermo. Nella notte del 15 dicembre, durante un interrogatorio condotto dal commissario Luigi Calabresi e dai suoi collaboratori, Pinelli precipitò dal quarto piano di via Fatebenefratelli. Morì lasciando una moglie e due figlie piccole, che da allora hanno cercato invano una spiegazione convincente su quanto accadde quella notte. Lo stesso commissario Calabresi, probabilmente non presente nella stanza al momento della caduta, venne assassinato nel maggio 1972.

Le vittima di Piazza Fontana

Il 16 dicembre il giovane giornalista Bruno Vespa annunciò al telegiornale l’arresto del presunto colpevole. Si trattava di Pietro Valpreda, ballerino anarchico, accusato sulla base della testimonianza di Cornelio Rolandi, un tassista che dichiarò di averlo accompagnato in piazza Fontana proprio nell’ora dell’esplosione, per un percorso di appena 112 metri. Valpreda rimase in carcere tre anni in attesa di giudizio e venne coinvolto in tutti i processi successivi, pur non essendo mai condannato.

Con il passare del tempo, le indagini cambiarono direzione, concentrandosi sugli ambienti del neofascismo veneto e sull’organizzazione eversiva Ordine Nuovo. Emersero legami inquietanti con apparati dello Stato: la Commissione Stragi accertò l’esistenza di “accordi collusivi con apparati istituzionali”, mentre vennero confermate in via definitiva le condanne per depistaggio a carico di due ufficiali del SID, i servizi segreti dell’epoca.

Paolo Emilio Taviani, più volte ministro degli Interni per la Democrazia Cristiana, dichiarò in audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo che gli era stato riferito come la matrice dell’attentato fosse da ricercare in un gruppo di estrema destra veneto, emarginato dal Movimento Sociale Italiano e protetto da uomini dei servizi segreti.

Il tormentato iter giudiziario, articolato in tre processi e conclusosi nel 2005, si chiuse con assoluzioni generali ma certificando che la strage era attribuibile a Ordine Nuovo. La Corte di Cassazione stabilì che, sotto il profilo storico, risultava dimostrato il coinvolgimento dei terroristi neri Franco Freda e Giovanni Ventura, ormai non più processabili in quanto già assolti definitivamente in un precedente dibattimento. Confermato anche il ruolo di Carlo Digilio, esperto di armi di Ordine Nuovo, reo confesso e collaboratore di giustizia.

Lapide in memoria delle vittime di Piazza Fontana

L’ultimo processo a carico di Delfo Zorzi, neofascista di Ordine Nuovo, dopo una condanna in primo grado si concluse con l’assoluzione in appello confermata in Cassazione, con l’amara beffa del risarcimento delle spese processuali a carico dei familiari delle vittime.

Piazza Fontana fu solo l’inizio. A quello del 12 novembre fecero seguito altri terribili attentati: il 28 maggio 1974 una bomba esplose in piazza della Loggia a Brescia durante una manifestazione antifascista, causando otto morti e novantaquattro feriti.

Strage di Piazza della Loggia

Il 4 agosto dello stesso anno fu la volta del treno Italicus, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro: dodici morti e centocinque feriti. Infine, il 2 agosto 1980, la stazione di Bologna con i suoi ottantacinque morti e oltre duecento feriti segnò il punto più alto di crudeltà conosciuto dall’Italia repubblicana.

Se i colpevoli sono rimasti sostanzialmente impuniti, sappiamo con certezza chi sono gli innocenti di questa tragica pagina di storia: le diciassette vittime della bomba, gli anarchici ingiustamente accusati, Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. In occasione del cinquantesimo anniversario della strage, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha chiesto ufficialmente scusa alle figlie di Pinelli a nome dell’intera città.

Pietro Valpreda

Molti protagonisti, volontari o involontari, di questa vicenda sono ormai scomparsi: da Pinelli a Valpreda, da Calabresi a Ventura, da Freda a Giannettini. Ma la memoria di quanto accadde quel 12 dicembre del 1969 resta viva, monito permanente sui rischi della violenza politica e delle collusioni tra eversione e apparati dello Stato.