Oltre 3mila referti istologici mai recapitati ai pazienti negli ospedali di Trapani e Castelvetrano. Tra questi 206 contenevano diagnosi di tumori. La Procura chiede l’incidente probatorio per dieci casi.
Trapani – Otto medici che lavorano nei reparti di anatomia patologica degli ospedali di Trapani e Castelvetrano sono finiti nel registro degli indagati della Procura trapanese per il caso dei migliaia di referti istologici mai consegnati ai pazienti. Le accuse sono pesanti: omicidio colposo e lesioni personali per ritardi che potrebbero aver compromesso cure e diagnosi tempestive.
La magistratura ha chiesto di poter svolgere un incidente probatorio su dieci pazienti per stabilire se i ritardi causati dai medici abbiano effettivamente contribuito ad aggravare le loro condizioni di salute. L’acquisizione anticipata di queste prove potrebbe essere determinante per il prosieguo delle indagini e per eventuali processi.
I numeri di una tragedia sanitaria
Il caso riguarda 3.313 referti istologici mai consegnati ai pazienti per esami svolti nel 2024 e nel 2025 negli ospedali dell’ASP di Trapani. Un numero che fa tremare: dietro ogni referto c’è una persona che ha atteso risposte sulla propria salute, spesso in condizioni di ansia e preoccupazione.
Il dato più allarmante emerge dall’analisi dei contenuti: secondo i dati della Regione Sicilia, 206 dei referti mai consegnati contenevano rilevazioni di tumori. Un numero che, pur dovendo essere preso con cautela in attesa di stabilire l’effettivo nesso causale tra ritardo nella consegna e conseguenze sulla salute, rappresenta una cifra impressionante che racconta di diagnosi oncologiche rimaste nel limbo burocratico-sanitario.
La storia che ha fatto scoppiare il caso
Il problema a Trapani era noto da tempo negli ambienti sanitari locali ma ha assunto rilevanza mediatica e nazionale grazie alle interrogazioni parlamentari del vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, esponente di Forza Italia, che ha portato all’attenzione del Parlamento la drammatica storia di Maria Cristina Gallo.

La donna, 56 anni, aveva atteso per otto lunghi mesi il referto istologico che le avrebbe cambiato la vita: quando finalmente lo ha ricevuto, ha scoperto di avere un tumore già al quarto stadio, la fase terminale della malattia. Otto mesi durante i quali una diagnosi precoce avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte, otto mesi in cui le cellule tumorali hanno continuato la loro corsa mentre il referto giaceva in qualche ufficio dell’ospedale.
La vicenda di Maria Cristina Gallo è diventata il simbolo di un sistema sanitario che ha fallito nel suo compito più elementare: dare risposte tempestive ai pazienti che si affidano alle cure pubbliche.
Le cause del disastro
Secondo l’azienda sanitaria provinciale di Trapani, i ritardi sarebbero stati causati da una carenza cronica di medici specialisti in anatomia patologica. Una giustificazione che, pur fotografando una realtà diffusa nel sistema sanitario italiano, non può assolvere completamente le responsabilità di chi ha lasciato che migliaia di pazienti rimanessero nell’incertezza per mesi.

La carenza di personale specializzato è infatti un problema strutturale che affligge molti ospedali italiani ma che richiede soluzioni organizzative e gestionali per evitare che si trasformi in una tragedia umana come quella di Trapani. Soluzioni che evidentemente non sono state trovate o implementate in tempo utile.
Le conseguenze istituzionali
Il caso ha provocato un terremoto nell’ASP di Trapani. A maggio scorso, il direttore generale Ferdinando Croce si è dimesso, assumendosi di fatto la responsabilità politica e gestionale del disastro. Una dimissione che rappresenta il riconoscimento del fallimento organizzativo che ha portato a questa situazione.
L’azienda sanitaria aveva avviato un’indagine interna per fare chiarezza sulla vicenda ma l’intervento della magistratura ha alzato il livello dello scontro, trasformando quello che poteva essere un problema amministrativo in un caso giudiziario con potenziali responsabilità penali.
Proteste e mobilitazione
La scoperta del caso ha scatenato proteste e contestazioni da parte dei cittadini e delle associazioni di pazienti. Il territorio trapanese si è mobilitato per chiedere giustizia e per garantire che episodi simili non si ripetano in futuro.
La vicenda ha inoltre fatto emergere altri problemi nella sanità locale, confermando un quadro di difficoltà strutturali che va ben oltre il caso specifico dei referti non consegnati. Un sistema sanitario territoriale che mostra crepe profonde nella sua capacità di garantire servizi essenziali ai cittadini.
Le indagini
La Procura di Trapani ha deciso di non limitarsi a un’indagine amministrativa ma di verificare se ci siano responsabilità penali individuali. Gli otto medici indagati dovranno rispondere delle accuse di omicidio colposo e lesioni personali, reati che presuppongono l’esistenza di un nesso causale tra il loro comportamento e il danno subito dai pazienti.

L’incidente probatorio richiesto dai pubblici ministeri su dieci casi specifici sarà determinante per stabilire questo nesso causale. I periti dovranno verificare se i ritardi nella consegna dei referti abbiano effettivamente contribuito ad aggravare le condizioni dei pazienti, compromettendo le loro possibilità di cura.
Un problema nazionale
Il caso di Trapani, pur nella sua gravità specifica, illumina un problema che va oltre i confini siciliani. La carenza di medici specialisti, i ritardi nei referti, le disfunzioni organizzative degli ospedali sono questioni che riguardano tutto il sistema sanitario nazionale.
La storia di Maria Cristina Gallo e di migliaia di altri pazienti trapanesi costretti ad attendere mesi per conoscere il proprio stato di salute rappresenta il fallimento di un sistema che dovrebbe garantire cure tempestive ed efficaci. Un fallimento che, nel caso dei 206 referti con diagnosi tumorali rimasti nei cassetti, potrebbe aver avuto conseguenze irreversibili sulla vita delle persone.