Il governo riapre il dossier sicurezza: “Non basta la tutela economica, serve quella processuale”. Restano i nodi tecnici e costituzionali.
Roma – L’omicidio del carabiniere Carlo Legrottaglie e l’indagine, come atto dovuto, nei confronti dei due poliziotti che hanno sparato per difendersi uccidendo il suo killer, riapre nel governo il dossier sicurezza. Una tragedia che ha scosso profondamente le forze dell’ordine e riacceso il dibattito su una maggiore tutela processuale per gli agenti.
La richiesta della maggioranza
Lo dice in chiaro il sottosegretario leghista Nicola Molteni: “Non basta la tutela economica, serve quella processuale”. Lo ripetono diversi parlamentari di Fratelli d’Italia, chiedendo al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di riprendere quella norma del Decreto sicurezza, accantonata a gennaio scorso tra le polemiche. Una proposta che ora torna all’ordine del giorno nonostante quel primo testo fosse stato ritenuto irricevibile da tutti i tecnici.
La proposta iniziale prevedeva che le forze di polizia non fossero iscritte nel registro degli indagati nell’immediatezza dei fatti ma soltanto dopo un primo accertamento. Se fosse stata esclusa in partenza una responsabilità degli agenti, l’indagine non sarebbe mai partita. Per intendersi: i due poliziotti che lo scorso 12 giugno hanno ucciso Michele Mastropietro non avrebbero dovuto essere iscritti nel registro degli indagati perché avevano sparato unicamente per difendersi.

Le obiezioni tecniche e sindacali
“Ma una strada del genere è impraticabile per una serie di ragioni”, spiega Pietro Colapietro, segretario della Silp, il sindacato Cgil dei poliziotti, “perché significherebbe creare dei cittadini a statuto speciale, cosa che noi non vogliamo essere. Oltre a porre dei problemi tecnici con l’obbligatorietà dell’azione penale”.
Le perplessità non riguardano solo gli aspetti costituzionali. I sindacati sottolineano come il sistema attuale presenti già lacune nell’applicazione delle tutele esistenti. “Non è ancora chiaro come funziona il tema del rimborso inserito nel decreto di sicurezza: al momento non c’è nessuna istruzione”, denuncia Colapietro.
La posizione di Piantedosi
Lo sa bene il Ministro Piantedosi, che in queste ore sta ripetendo quello che ha già sostenuto nei mesi scorsi quando l’idea fu accantonata: “Nessuna immunità è possibile”, aveva detto. “Ma si può ricercare un modo che possa evitare che gli agenti siano sempre automaticamente esposti a una serie di adempimenti che poi si rivelano pesanti e sproporzionati, con tempi molto lunghi prima che si accerti la loro innocenza”.

Una posizione che cerca di contemperare le esigenze di tutela degli agenti con i principi costituzionali ma che dovrà fare i conti con la complessità tecnica della materia.
I problemi pratici della tutela legale
“Il rischio, tutt’altro che remoto, è che la tutela resti sulla carta”, spiega l’avvocato Giorgio Carta, che difende uno dei poliziotti indagati. “Se davvero lo Stato vuole dimostrare vicinanza alle proprie forze dell’ordine, la tutela legale non può essere soggetta a sconti o a revisioni contabili. È un dovere, non un favore. Occorre allora rivedere radicalmente il sistema”.
Le criticità non si limitano agli aspetti processuali. I sindacati denunciano anche problemi nella gestione delle carriere: “Questa storia per cui le carriere sono bloccate sarebbe facilmente risolvibile mettendo mano al codice disciplinare che ha più di quarant’anni. È assurdo”, conclude Colapietro.
Una possibilità di riforma
Una possibilità di rimettere mano alla legge c’è ma dovrà superare gli ostacoli che hanno fermato il primo tentativo. Il nodo centrale resta quello di trovare un equilibrio tra la necessità di tutelare chi rischia la vita per la sicurezza pubblica e il rispetto dei principi costituzionali che garantiscono l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

La tragedia di Carlo Legrottaglie ha riportato al centro del dibattito politico una questione che tocca nel profondo il rapporto tra Stato e forze dell’ordine. Resta da vedere se questa volta si riuscirà a trovare una soluzione tecnicamente praticabile e costituzionalmente compatibile, che dia risposte concrete alle esigenze di chi, ogni giorno, mette a rischio la propria vita per la sicurezza dei cittadini.
Il caso dei due poliziotti indagati per aver ucciso l’assassino di Legrottaglie rappresenta l’emblema di un sistema che, pur dovendo rispettare le garanzie processuali, rischia di penalizzare chi ha agito per legittima difesa. Una contraddizione che il governo promette di risolvere ma che richiederà un lavoro complesso per non creare pericolosi precedenti.