All’Eni di Calenzano una strage annunciata “per interesse e vantaggio”: 9 indagati

Avviso di garanzia per sette dirigenti Eni e due della società appaltatrice Sergen. Manutenzione e carico delle autobotti avvenivano contemporaneamente: un rischio fatale per i lavoratori.

Prato – Nove avvisi di garanzia sono stati notificati oggi dalla Procura di Prato per il disastro al deposito Eni di Calenzano (Firenze), dove il 9 dicembre 2024 quattro esplosioni hanno ucciso cinque operai e ferito 28 persone. Sette dirigenti Eni e due della società appaltatrice Sergen sono indagati a vario titolo per omicidio colposo plurimo, disastro colposo, lesioni personali e rimozione di cautele infortunistiche. La società Eni Spa è coinvolta per responsabilità amministrativa ai sensi della Legge 231. Il procuratore Luca Tescaroli, che coordina le indagini, non usa mezzi termini: “Un evento prevedibile e evitabile, causato da un errore grave e inescusabile”.

Le vittime – Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso, Gerardo Pepe, Franco Cirielli e Davide Baronti – erano autotrasportatori registrati come “visitatori” e si trovavano sotto la pensilina di carico delle autobotti quando il deposito è stato squarciato dalle deflagrazioni. Secondo la Procura, il disastro è stato innescato da “fonti di innesco, come il motore a scoppio di un elevatore”, che ha generato calore in un’area ad alto rischio. A peggiorare la situazione, le attività di manutenzione di Sergen e il carico delle autobotti avvenivano contemporaneamente, senza alcuna interruzione, in violazione delle norme di sicurezza.

“Questa prassi era dettata dalla necessità di mantenere la produttività, funzionale alle strategie imprenditoriali di Eni Spa”, ha spiegato Tescaroli. “Non si voleva dilatare i tempi di attesa degli autisti, una modalità comune a tutti i depositi Eni, senza specifiche eccezioni nella documentazione aziendale”. Un vantaggio economico che, per la Procura, si è tradotto in un rischio fatale per i lavoratori, con un interesse “ampliato su scala nazionale”.

Tra i nove indagati figurano figure chiave di Eni e Sergen. Per Eni: Patrizia Boschetti, responsabile della struttura organizzativa del centro di Roma; Luigi Collurà, dirigente con delega alla sicurezza del deposito di Calenzano; Carlo Di Perna, responsabile manutenzioni e investimenti; Marco Bini ed Elio Ferrara, preposti coinvolti nei permessi di lavoro del 9 dicembre; Emanuela Proietti, responsabile del servizio prevenzione e protezione; ed Enrico Cerbino, project manager esterno. Per Sergen: Francesco Cirone, datore di lavoro e responsabile della sicurezza, e Luigi Murno, preposto sul cantiere. Nomi che, secondo l’accusa, avrebbero permesso una gestione incauta delle operazioni, culminata nella tragedia.

L’incidente probatorio disposto da Tescaroli analizzerà ulteriormente i rilievi tecnici, ma i primi risultati parlano chiaro: la concomitanza di manutenzione e carico, in un’area a rischio, è stata una bomba a orologeria. Tra i feriti, 28 persone, alcune rimaste in condizioni gravissime per settimane.

In una nota, Eni ha preso atto degli avvisi di garanzia, che coinvolgono “responsabili e operatori delle aree tecnico-operative della Direzione Refining Revolution and Transformation” e la stessa società per la Legge 231. “Confermiamo la piena collaborazione con l’autorità giudiziaria per individuare cause e dinamiche dell’incidente”, si legge. L’azienda ha promesso “impegno prioritario” per il risarcimento dei familiari delle vittime e dei danni civili sul territorio, in avanzato stato di definizione”. Ma per la Procura, la responsabilità non è solo tecnica: è una scelta strategica che ha messo il profitto davanti alla sicurezza.

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