È quanto sarebbe stato detto in un colloquio tra un agente kenyota e un egiziano che si presume sia tra gli autori della tortura.
Roma – “Sentii dire dal maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif: ‘nel nostro paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad. Era un problema perché era popolare fra la gente comune. Finalmente l’abbiamo preso: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto. Io l’ho colpito'”. E’ il drammatico racconto di un teste protetto sentito oggi in aula nel processo a carico di quattro 007 egiziani per la morte di Giulio Regeni che ha riferito quanto sentì raccontare da uno degli imputati in un ristorante a Nairobi nel settembre del 2017.
Il testimone ha raccontato quindi quanto ascoltato da uno dei quattro 007 in un ristorante a Nairobi un anno dopo il ritrovamento del corpo del ricercatore friulano. “Ho sentito due uomini accanto a lui che parlavano. In un tavolo vicino c’erano un egiziano e un addetto alla sicurezza del Kenya, sceso poco prima da un veicolo diplomatico egiziano. Erano a distanza di circa due metri da me: non c’erano tavoli fra noi. Hanno iniziato a parlare delle elezioni presidenziali in Kenya, parlavano in inglese. Parlavano di tensioni e scontri con la polizia dopo il voto contro la legittimità delle operazioni di voto e di vittime che c’erano state. Criticavano l’Unione Europea che manifestava solidarietà con le proteste. Il funzionario diceva che bisognava restare fermi e che senza ingerenze straniere le forze di polizia avrebbero potuto reprimere meglio” ha detto nel passaggio più significativo il testimone protetto, che ha deposto in aula Occorsio rispondendo alle domande del pm Sergio Colaiocco.
Il 3 dicembre scorso il testimone protetto ‘Delta’, in aula Occorsio a Roma, aveva riferito: “Ho sentito quando Regeni gridava e veniva picchiato, parlava italiano e un arabo ma non da madrelingua. Ho visto un ragazzo italiano di altezza media, con jeans, maglietta e felpa, forse azzurra. Aveva circa 30 anni, forse poco più. Portava la barba, ma era molto corta. Era in piedi e parlava in italiano con un ufficiale. Io ho detto: ‘sta chiedendo un avvocato’, io ho lavorato in una società italiana per due anni e conosco qualche parola”.
“Ho sentito quando Giulio Regeni veniva torturato... Lui si lamentava e parlava in arabo. Ricordo che lo
vidi per prima volta nel commissariato Dokki, eravamo stati arrestati entrambi il 25 gennaio del 2016″. “In commissariato stava parlando con un ufficiale, (Giulio, ndr) era vestito con dei jeans e un pullover celeste. Poi ci hanno portato via, – aveva raccontato ‘Delta‘ – ci hanno fatto salire a bordo di un auto e ci hanno bendato gli occhi. Lui ha continuato a chiedere di un avvocato, parlava anche in italiano. Io, che conoscevo la lingua, l’ho spiegato a chi era in auto ma mi hanno dato un pugno dicendomi: ‘vuoi fare il traduttore, lui parla arabo meglio di te’”.