Tra il sacro e il profano impazza il World Pizza Day

Il 17 gennaio si celebra la festa del piatto che ha conquistato il mondo. Giornata che coincide, non a caso, con la celebrazione cristiana di Sant’Antonio Abate, che donò il fuoco agli uomini e che per questo protegge i piazzaioli.

È in assoluto la regina della cucina italiana esportata in tutto il mondo. Emblema della gastronomia Made in Italy, la pizza mette d’accordo tutti e diventa addirittura battaglia culturale da difendere. Il 17 gennaio si celebra la festa laica del World Pizza Day. Giornata in cui il cibo che fa impazzire il mondo incrocia i suoi destini con la celebrazione cristiana di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, dei macellai, ma non solo.

Secondo una delle tante leggende, il santo avrebbe anche donato il fuoco agli uomini per tenerli al caldo rubandolo all’inferno. Ecco perché il patrono dei fuochi si erge a protettore di quelle professioni che hanno a che fare con le fiamme, e in questo caso i piazzaioli vi rientrano a pieno titolo. Un’idea che non poteva non partire dalla patria della pizza, Napoli, che nella sua tradizione secolare faceva coincidere il sacro con il profano.

Dall’usanza all’ufficializzazione del matrimonio Sant’Antonio-pizza day è stato un attimo. Tutto è nato dal guizzo dell’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN) e del suo presidente Antonio Pace. L’Unesco aveva già riconosciuto l’arte dei piazzaioli partenopei come patrimonio immateriale dell’Umanità. Un imput raccolto dai maestri della pizza che hanno dato vita, nel 2018, alla giornata mondiale che ogni anno viene celebrata con eventi e feste.

Un pizzaiolo alle prese con la sua creazione

A simboleggiare questa unione tra il sacro e il profano, la nascita creativa della pizza Sant’Antonio. I suoi ingredienti? Pomodoro e peperoncino a rappresentare quel fuoco che protegge, la salsiccia che rievoca il maialino con cui è raffigurato il Santo, e il provolone del monaco, celebre specialità della Penisola Sorrentina, che ricorda tra le altre cose che l’eremita cristiano fu anche il primo monaco della storia.

La pizza ha una storia lunga, che ha attraversato i secoli e resiste al tempo. In assoluto, le prime attestazioni scritte della pietanza più amata risalgono al latino volgare della città di Gaeta nel 997. Un successivo documento, scritto su pergamena d’agnello, di locazione di alcuni terreni e datato sul retro 31 gennaio 1201 presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva, riporta la parola “pizzas” ripetuta due volte. Già comunque nell’antichità focacce schiacciate, lievitate e non, erano diffuse presso gli Egizi e i Romani.

Ma se pronunci la parola pizza non puoi non dire Napoli. Sarebbe il partenopeo Raffaele Esposito, inventore della celebre Margherita, il padre di questo evergreen che ha saputo aggiornarsi ai cambiamenti. Come si narra, durante l’estate del 1889, Esposito venne convocato alla Reggia di Capodimonte da Margherita di Savoia, giunta sotto il Vesuvio con re Umberto. In questa occasione preparò tre diverse pizze: la prima, a base di strutto, basilico, pecorino e pepe, la seconda con pomodoro, alici, aglio, origano e olio mentre la terza a base di pomodoro, mozzarella e basilico. Quest’ultima, dai colori che volevano omaggiare il tricolore italiano, diede vita alla pizza Margherita. E il resto è storia.

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L’intramontabile pizza Margherita

Un successo planetario, neanche a dirlo. Oggi la pizza è il secondo alimento più consumato al mondo – il primo è il riso – seguito dalla pasta. In Italia quello della pizza è un business che vale 15 miliardi di euro e occupa oltre 100mila addetti a tempo pieno, che diventano 200mila nel weekend. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 8 milioni di pizze. Per prepararle, ogni anno vengono consumati di 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di litri di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

Altra curiosità, pizza è la parola italiana più famosa, seguita da ciao. Ma la fama, si sa, ha sempre un prezzo da pagare. Vittima di contraffazioni, di farine di insetti che minacciano il marchio Dop, e di tentativi di modificarne ingredienti, metodi di preparazione e cottura, la pizza diventa un patrimonio storico, culturale e identitario da salvare. Dal 2021 l’Ue tutela la vera pizza napoletana: il suo nome a Bruxelles è identificato con Stg, ossia “specialità tradizionale garantita”. Una dicitura che può essere utilizzata sulle confezioni o nei menù di ristoranti e pizzerie in Italia e nell’Unione Europea solo se sono garantite alcune caratteristiche relative alla preparazione.

Le ore minime di lievitazione, la stesura a mano della pasta, le modalità di farcitura, la cottura esclusivamente in forno a legna a una temperatura di 485°C e l’altezza del cornicione di 1-2 cm, con il controllo di un ente terzo di certificazione. I limiti riguardano anche l’utilizzo di materie prime di base, che devono essere made in Italy, come l’olio extravergine d’oliva, il basilico fresco, la Mozzarella di Bufala Campana Dop oppure la Mozzarella tradizionale Stg. I pomodori invece possono essere pelati, oppure pomodorini freschi.

Tutti ingredienti genuini, come genuina è stata l’invenzione gastronomica di quello che è diventato stile, modo di essere, sentimento italiano che non smette mai di stupire. Oltre i confini del Bel Paese. “Ho una storia d’amore con la pizza… diciamo che è una specie di pane e amore e carboidrati”, disse Julia Roberts nel film “Mangia, Prega, Ama”, film del 2010. Una storia d’amore diventata universale.

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